– servizio a cura di Sergio Bedessi – foto di Edoardo Abruzzese
Siamo nel pieno di quella che è stata definita la fase 2 dell’emergenza sanitaria COVID-19 sancita ufficialmente dal d.l. 16 maggio 2020, n. 33 “Ulteriori misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID-19” e dal conseguente D.P.C.M. 17 maggio 2020.
Per la Toscana si aggiunge poi l’ordinanza del presidente della Regione Toscana, n. 57 del 17 maggio 2020.
La fase 2 si sostanzia in ben 21 pagine di decreto legge e 127 pagine di decreto del Presidente del consiglio dei ministri; nel complesso oltre 140 pagine di regole difficili da leggersi, difficili da comprendere e pressoché impossibili da controllare.
Regole eterogenee e spesso in contrasto fra loro dal punto di vista non solamente del diritto, ma anche della logica, alcune delle quali inquietanti, come la norma che impone ai ristoranti di mantenere per 14 giorni la lista di chi ha prenotato. Per quale scopo?
Perché le regole per usufruire di parchi e giardini sono contenute nel decreto legge, e quindi hanno forza di legge, mentre quelle per andare alla messa sono invece contenute in un allegato del DPCM?
Forse stare troppo vicini in un parco è più pericoloso che stare troppo vicini durante la messa?
Non si comprende poi come mai del distanziamento sociale, una parola ormai di gran moda, all’interno della chiesa sia responsabile la chiesa stessa mentre sull’autobus debba essere responsabile l’utente.
Forse le lobby del trasporto pubblico locale hanno pressato più della Conferenza Episcopale Italiana per non prendersi la responsabilità della sicurezza delle persone? Inoltre in chiesa si deve tenere una distanza di m 1,5 mentre sull’autobus di m 1.
Una messa è forse più pericolosa, dal punto di vista del contagio, di un tragitto nella metropolitana affollata?
Mentre il cittadino che sale sull’autobus si deve attrezzare con guanti e mascherina non si capisce perché gli autisti dell’autotrasporto merci, come dice l’allegato 4 del DPCM possano esserne anche privi.
Le lobby degli autotrasportatori contano ovviamente di più dei poveri utenti degli autobus.
Comunque grazie all’art. 1 del d.l. 33/2020 a decorrere dal 18 maggio 2020 è possibile per tutti circolare all’interno della propria regione senza alcuna limitazione e senza dover rendere conto ad alcuno; gli spostamenti in regione diversa rimangono comunque vietati fino al 2 giugno, a meno di comprovate esigenze lavorative, di assoluta urgenza ovvero per motivi di salute.
Egualmente fino al 2 giugno sono vietati gli spostamenti da e per l’estero (eccezion fatta per San Marino e la Città del Vaticano), anche qui a meno di comprovate esigenze lavorative, di assoluta urgenza ovvero per motivi di salute.
Sono vietati tuttora gli assembramenti (art. 1 comma 8) in luoghi pubblici o aperti al pubblico. Le manifestazioni, gli eventi e gli spettacoli di qualsiasi natura con la presenza di pubblico, così come convegni e congressi, possono svolgersi con le modalità stabilite con i provvedimenti adottati ai sensi dell’articolo 2 del decreto-legge n. 19 del 2020.
Ma veniamo ai ristoranti.
Grazie alle nuove norme finalmente i ristoranti possono ricominciare a lavorare, ma con una serie di pesantissime imposizioni che certo porranno a molti gestori la domanda se sia o meno conveniente riaprire.
Fra queste quella di mantenere per 14 giorni l’elenco delle persone che hanno prenotato. Questa regola li accomuna con gli stabilimenti balneari che devono fare altrettanto. È forse prodromica ad un controllo generalizzato dei nostri spostamenti, visto che non sono riusciti ad imporci una app obbligatoria sul telefono?
I gestori dovranno riorganizzare i tavoli in modo tale da mantenere sempre almeno un metro di distanza fra gli stessi e, comunque, un metro di distanza fra le sedute; ne consegue che saranno privilegiati i ristoranti che hanno la possibilità di spazi esterni, grazie anche al fatto che molti Comuni stanno adottando deliberazioni per incentivare le estensioni alle già esistenti occupazioni di suolo pubblico, anche con esenzione della tassa o del canone.
Non saranno consentite consumazioni a buffet e il personale di servizio dovrà essere sempre dotato di mascherina, con l’obbligo di frequente igiene delle mani, comunque prima di ogni servizio al tavolo.
Le finestre dovranno essere aperte il più possibile per consentire il ricambio dell’aria e se esiste l’impianto di condizionamento dovrà essere bloccato il ricircolo; tutto questo certo non faciliterà andando incontro al periodo estivo.
I clienti avranno l’obbligo di indossare la mascherina quando si alzeranno dal tavolo, fosse anche solo per andare al bagno; il legislatore si è però sentito in dovere di precisare che l’obbligo di tenere la mascherina non c’è mentre si mangia!
Finito il pranzo o la cena il personale dovrà provvedere alla disinfezione del tavolo e di altre superfici, ma non solo: dovrà provvedere a disinfettare anche saliere, oliere, menu (se non usa e getta) e altri oggetti eventualmente presenti sul tavolo.
Infine alla cassa se non si monteranno barriere fisiche fra il personale e il cliente, si dovranno usare mascherina e gel per igienizzare le mani.
Da notare che tutte queste regole si applicano non solo ai ristoranti, ma anche a bar, pub, ristoranti, gelaterie, pasticcerie e così via.
L’ennesimo DPCM continua ad imporci come un mantra la doppia misura dell’uso della mascherina e del mantenimento della distanza, in ogni luogo e in ogni nostra attività della vita quotidiana: posto di lavoro, autobus, chiesa, bar, ristorante, paventando pericoli di contagio dappertutto.
Il presidente del consiglio dei ministri dovrebbe leggersi meglio i dati pubblici sulla distribuzione dei luoghi di esposizione al virus dai quali viene fuori, in modo evidente, che la maggior parte delle persone, oltre l’80 per cento (fonte GEDI – VISUAL dati del Ministero della salute), si sono infettate in casa di riposo, residenza sociale, ospedale, ambulatorio, ambito familiare, e non certo al ristorante o al bar.