di Laura Mantovani- Il recente caso mediatico di cui è stata suo malgrado protagonista Zelda Williams, la figlia del recentemente scomparso attore Robin Williams, la quale ha deciso di cancellare il proprio account su twitter dopo aver ricevuto diversi messaggi di cattivo gusto riguardanti la morte del padre, ci porta a riflettere sulla società odierna e sulle sue continue pressioni, esplicite ed implicite, sugli individui che la compongono, i quali oramai sembrano aver perso ogni sfaccettatura di individualitá, soprattutto se nascosti dall’anonimato.
La Williams ha reagito con l’unica arma fornitale dalla rete, la chiusura del proprio indirizzo, a messaggi postati da utenti anonimi nascosti dietro ad un nickname: Zelda Williams aveva ricevuto non soltanto commenti terribili, nei quali la si incolpava del suicidio del padre, ma anche foto di Robin Williams ritoccate in modo macabro e crudele per mettere in atto un gioco di abuso telematico.
Per quanto limitato ad un contesto di cyberbullismo, il comportamento di questi utenti che passano il tempo in rete allo scopo di attaccare e molestare un altro utente, segue, parlando più in generale, regole in qualche modo riferibili alla società in cui viviamo.
La società odierna ha plasmato gli individui che ne fanno parte in modo tale che tutti si affannino per soddisfarne le attese ed ottenere quei requisiti che fanno sí che un individuo si senta incluso in un gruppo ben definito, in un anonimo angolo perfetto di mondo in cui nascondersi e in cui sentirsi accettato, protetto e sereno.
Per questa serenitá, per poterci sentire uguali agli altri, siamo disposti a vestire nello stesso modo, a conformarci all’idea di “bellezza” dettata dagli stilisti d’alta moda e dalle pubblicità che ci circondano in ogni momento della nostra esistenza.
Acquistiamo capi di abbigliamento di un determinato tipo e non di un altro. Facciamo una passeggiata nelle strade del centro delle nostre città vestiti e pettinati in modo “accettabile” e additiamo come diverso, inusuale, strano, chi ha avuto l’ardire di mostrarsi in pubblico con un capo di vestiario che esce fuori dai canoni.
Facciamo in modo che i nostri figli abbiano tutti i gadget che hanno a disposizione i figli degli altri, in modo che non si sentano esclusi o svantaggiati. Frequentiamo corsi di cucina, di yoga, di ceramica o altro, anche se magari non ci interessano veramente, solo per non essere in difetto nei confronti dei nostri amici o vicini di casa.
Ció che ci raggruppa dentro la parola “normalitá” ci rende liberi di esistere senza complicazioni.
Ma siamo davvero liberi?
Spostiamo lo sguardo verso il mondo del lavoro. Pensiamo ad una delle professioni che dovrebbe celebrare la creatività dell’essere umano. Pensiamo a chi progetta edifici, o agli inventori che escogitano nuovi congegni le cui applicazioni sarebbero magari in grado di migliorare l’esistenza di molti. In alcuni casi quelle invenzioni non vengono prese in considerazione perché il mondo non è ancora pronto ad accettare l’innovazione.
Il lavoro di un individuo pensante indipendente, scopriamo, dipende spesso da ció che desidera o richiede la societá.
Un architetto che crea opere belle e funzionali è costretto a tener conto delle idee collettive e blande di una società mediocre che spesso non comprende, e che intende distruggere tutto ciò che è diverso, tutto ciò che non è incluso nei principii implicitamente accettati di un gruppo. Una società vile, che fuori dal gruppo, fuori dal branco, non è in grado di esistere poiché mancante di idee e coraggio.
In questo contesto il potere dei molti viene raggiunto solo annientando lo spirito dei singoli individui se si adattano, se si lasciano piegare, rompere, corrompere. Se questo non avviene la distruzione assoluta sembra un passo obbligato.
Chi pensa con la propria testa terrorizza e viene additato come strano/diverso/colpevole/ negativo.
I mezzi di comunicazione di massa e i cosiddetti “esperti” ci suggeriscono cosa è giusto e cosa è sbagliato, cosa è “normale” e cosa è “diverso”, quasi che l’individuo non ne avesse percezione personale.
La cultura del gruppo ci guida e ci protegge, nel gruppo nessuno si deve guardare davvero dentro e in questo modo può evitare di guardare il terrificante vuoto di valori e aspirazioni che racchiude in sé: “il branco” stupra ragazzine indifese che non sanno come chiedere aiuto, il branco annienta chi è diverso, portando chi è più sensibile alle critiche anche a gesti estremi, come il suicidio.
Ci si nasconde dentro false idee comuni accettate come verità e quasi nessuno ha il coraggio di emergere.
Ma perché il mondo è fatto di persone grette che si occupano solo di annientare il pensiero individuale anziché di coltivare il proprio per fare emergere idee originali?
È sempre stato così o il mondo degli esseri umani si è evoluto in questa direzione solo recentemente? Cosa è stato dello spirito creativo degli individui che hanno forgiato la stessa società che sembra relegarci oggi al ruolo di semplici comparse nella nostra stessa vita?
Per diventare protagonisti dobbiamo per forza apparire in TV in veste di orchi terribili colpevoli di chissà quali scempiaggini?
Queste sono domande a cui forse non avremo mai risposte.