di Claudio Molinelli – In scena al teatro Garibaldi di Figline Valdarno “Ti ho sposato per allegria”, commedia scritta da Natalia Ginzburg nel 1965 e pensata per l’attrice Adriana Asti. All’epoca il testo fu allestito per la regia di Luciano Salce che due anni dopo ne ricavò un film di grande successo, interpretato da Monica Vitti, Giorgio Albertazzi e Maria Grazia Buccella: oggi, nell’allestimento di ErreTiTeatro30, il protagonista maschile è il figlio, Emanuele Salce, cui si affianca Chiara Francini, interprete emergente; firma la regia Piero Maccarinelli.
Natalia Ginzburg raccontava che aveva cominciato a scrivere questa commedia (la prima di una lunga serie) rispondendo a una rivista di teatro che aveva in tal senso sollecitato gli scrittori. Aggiungeva poi che la commedia era venuta allegra a dispetto dello stato di noia in cui era stata concepita. “Però via via che scrivevo la noia spariva. L’ho finita in una settimana.”
In effetti la commedia sembra avere una duplice natura, mantenendosi in bilico tra una componente ironica e un’analisi antropologica delle convenzioni e dei rituali della società italiana contemporanea.
Giuliana, giovane donna di modesta estrazione sociale, si è appena sposata con Pietro, avvocato benestante; ben presto comincia a interrogarsi sui motivi che l’hanno frettolosamente condotta al matrimonio. Era in crisi dopo la fine di una storia precedente e si trovava in difficoltà economiche, e questo l’ha spinta ad accettare rapidamente la domanda di matrimonio di Pietro. Questi, chiamato a sua volta dalla moglie a chiarire le motivazioni del suo agire, dichiara di averla sposata “per allegria”, conquistato dalla sua giovialità e dal suo buonumore. Su queste basi, tutt’altro che solide, il matrimonio della coppia assume una luce incerta e una prospettiva carica di dubbi e incertezze.
Nel primo dei tre atti, Giuliana si confida con la domestica Vittoria, le racconta tutta la sua vita e la precedente relazione con un uomo sposato, della cui moglie, Topazia, diventa a sorpresa grande amica. Giuliana è stralunata e logorroica ma riesce comunque ad avere con Vittoria un rapporto di complicità che la rende una figura in anticipo sui tempi e con una sensibilità “moderna”; tra l’altro ha abortito, si è sposata civilmente e parla di divorzio, all’epoca ancora non in vigore in Italia. Il secondo atto è costituito da un fitto e paradossale dialogo tra marito e moglie che mette in luce tutte le differenze sociali e caratteriali dei due; il terzo e ultimo atto rappresenta la situazione tipica di ogni matrimonio, il primo pranzo della nuora con la suocera, una signora piena di sussiego e dalla lingua tagliente, ben poco soddisfatta del matrimonio del figlio.
La commedia analizza con pungente ironia le aspirazioni e i falsi miti della società borghese e dei suoi modelli di comportamento: la ricerca di una non meglio precisata “classe” come norma di riconoscimento, in un sistema di valori dove il matrimonio sembra diventare non il compimento di un percorso, ma uno status da conquistare a prescindere dal resto.
Chiara Francini innerva il personaggio di Giuliana col suo brio e la sua verve, anche se talvolta le sue indubbie doti comiche faticano a rientrare nella misura del ruolo; Emanuele Salce è un marito funzionalmente antitetico alla moglie e si avvale di un registro espressivo classico che rimanda all’impostazione dei mostri sacri del palcoscenico, non a caso è anche figlioccio di Vittorio Gassman. Anita Bartolucci è una suocera assolutamente credibile, mentre Giulia Weber, che con Valentina Virando completa il cast, regala alla domestica Vittoria una stravaganza velata di malinconia.