di Sergio Bedessi – Un recentissimo fatto di cronaca fa ripensare alla proposta del nuovo reato di “omicidio stradale” arenatasi da ormai un anno in parlamento, con la quale si proponeva di creare una autonoma figura di reato, specifica rispetto all’omicidio colposo, al fine di aumentare significativamente le pene per chi, alla guida della propria auto ubriaco o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti, provocasse un incidente stradale uccidendo una persona.
Pochi giorni fa, il 10 luglio, una ragazzina di 16 anni, Beatrice Papetti, che attraversava di notte una strada in provincia di Milano è stata travolta ed uccisa da un pirata della strada che subito dopo è fuggito; il cugino, che l’accompagnava, per fortuna è rimasto illeso.
Alla tragedia se ne è sommata una seconda: il padre che prestava servizio sull’ambulanza del 118 della zona è stato fra i primi ad intervenire sul luogo del sinistro, trovandosi quindi a soccorrere la figlia che di lì a poco sarebbe morta.
Ci si chiede: perché una persona che provoca un incidente stradale non si ferma per prestare soccorso ed anzi si da alla fuga? Esiste un modo per evitare il continuo ripetersi di questi accadimenti?
Si risponderà che questo è dovuto alla scarsa moralità del soggetto, privo di senso civico, insomma si addurrà questo comportamento alle cattive qualità umane dell’investitore; certamente è così, ma quello che si deve osservare è che oggigiorno le pene per chi provoca un incidente stradale uccidendo una persona poi fuggendo sono troppo basse.
Se le pene fossero ben più alte e, più che altro, certe, sicuramente prima di fuggire il conducente ci penserebbe molto bene.
La maggior parte dei cittadini forse non sanno che chi, alla guida del proprio mezzo, travolge una persona uccidendola, a meno che non venga provato che era ubriaco o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti (ed anche se lo era a volte è veramente difficile provarlo), se non fugge e patteggia la pena, viene condannato a poco più di un anno di reclusione (e quindi, nei fatti, non fa neanche un giorno di carcere) e, dopo non molto, ha pure la possibilità di riprendersi la patente e circolare nuovamente.
Un’aberrante assurdità tutta italiana punire in pratica con niente (una condanna a poco più di un anno non si sconta visto che viene applicata la sospensione condizionale della pena) chi uccide una persona, e (giustamente per carità) condannare a sette anni di reclusione[1] con l’interdizione a vita dai pubblici uffici chi abbia cercato di convincere un funzionario di Questura a rilasciare una persona, con annessi e connessi: è chiaro come non vi sia un equo bilanciamento fra la pena inflitta in questo caso, e la pena comminata invece a chi invece uccide un altro essere umano, toglie un figlio ai propri genitori, toglie una madre o un padre ai propri figli, toglie un proprio caro ai congiunti.
Qualche tempo fa un gruppo di associazioni (Associazione Lorenzo Guarnieri, Associazione Gabriele Borgogni, Associazione amici e sostenitori della polizia stradale) aveva lanciato la proposta di legge di iniziativa popolare per la creazione di una nuova ed autonoma figura di reato: l’omicidio stradale; i proponenti volevano “…colmare quella che viene sentita come una vera e propria lacuna normativa inaccettabile …” creando “…un quadro sanzionatorio autonomo … individuando per la prima volta, in Italia, le fattispecie autonome dell’omicidio e delle lesioni personali stradali…”.
Essi partivano dall’osservazione, ed il caso di questi giorni fa ulteriormente riflettere, che l’uccisione di una persona a seguito di un sinistro stradale provocato da un ubriaco o da una persona sotto l’effetto di sostanze stupefacenti fosse poco o nulla punita.
I proponenti si erano imposti di arrivare a 60.000 firme, 10.000 oltre la soglia prevista dall’articolo 71 della Costituzione; ad oggi sono arrivati a ben 70511 adesioni, ma per ora nessun governo ha posto seriamente mano alla questione.
E’ vero che la proposta di “omicidio stradale” non era ben configurata da un punto di vista tecnico-giuridico; inoltre affrontava solamente il problema della guida in stato d’ebbrezza o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti e non quello della fuga e, più in generale, il fatto che l’omicidio colposo fosse, come è, punito troppo lievemente rispetto ad altri reati di minor pericolosità sociale.
La proposta prevedeva l’inserimento di un apposito articolo nel codice penale, con la seguente formulazione:
“575-bis (omicidio stradale). Chiunque ponendosi consapevolmente alla guida in stato di ebbrezza alcolica o sotto l’influenza di sostanze stupefacenti o psicotrope ai sensi, rispettivamente, degli articoli 186, comma 2, lettera b) e c) e 187 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, cagiona la morte di un uomo è punito con la reclusione da otto a diciotto anni .
Nel caso di morte di più persone, ovvero di morte di una o più persone e di lesioni di una o più persone, si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni commesse aumentate fino al triplo, ma la pena non può superare gli anni ventuno.”.
La proposta, all’epoca di grande enfasi mediatica, prendeva spunto dalla giusta constatazione che chi guidando ubriaco o drogato provoca un incidente stradale mortale non subisce una punizione adeguata al male che provoca ma, per come era formulata, risultava un controsenso: come si fa infatti a porsi alla guida così “consapevolmente” come prevederebbe questo nuovo articolo del codice penale e, altrettanto “consapevolmente” cagionare la morte di un uomo, se si è ormai ubriachi o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti?
In sintesi l’idea dei proponenti era rendere legge il seguente sillogismo: ti metti alla guida dopo aver bevuto o dopo aver assunto droghe, sai che è pericoloso a priori, in conclusione sei consapevole che potresti uccidere una persona.
Per raggiungere lo scopo si sarebbe dovuto probabilmente seguire una strada più semplice, con l’effetto di punire in modo più consistente non solo gli ubriachi ed i drogati alla guida che travolgono una persona e l’uccidono o la feriscono, ma tutti coloro che, comunque, travolgono una persona e la uccidono, e magari fuggono dopo l’incidente: aumentare le pene rimanendo nell’alveo della previsione giuridica già esistente.
Del resto l’idea delle associazioni che propongono di inserire nel codice penale l’autonoma fattispecie di “omicidio stradale” collegandolo alla consapevolezza del comportamento pericoloso alla guida era già stata perseguita, utilizzando l’attuale quadro normativo, da qualche pubblico ministero più incisivo, che aveva provato a percorrere la strada del cosiddetto “dolo eventuale”, peraltro infruttuosamente.
In pratica si era sostenuto che accettare il rischio di provocare la morte di qualcuno a causa della propria condotta (guidare sotto l’effetto di sostanze stupefacenti o ubriaco), equivale a volere questa morte, sia pure indirettamente[2]; questa ipotesi però non aveva retto alla prova dei fatti e gli organi giudicanti, magari per cassazione delle sentenze di merito, l’avevano puntualmente ridotta ad omicidio colposo[3].
Del resto il dolo o la colpa devono essere accertati con riferimento al momento nel quale il reato viene commesso e la morte provocata a seguito di un sinistro stradale da chi è ubriaco o drogato è colposa per definizione anche se doloso è lo stato di ubriachezza o quello provocato dalle droghe.
La Corte di Cassazione, con sentenza in data 24 marzo 2010 n. 11222, della Sezione IV Penale, si era espressa su questo argomento analizzando il tema dell’accettazione consapevole del rischio di uccidere una persona mettendosi alla guida ubriaco o drogato, alla fine escludendo il dolo rilevando la “…(inaccettabile) trasformazione di un reato di evento in reato di pericolo (con la estrema ed improponibile conclusione, per rimanere nel panorama tematico che la fattispecie dischiude, che ogni qualvolta il conducente di un autoveicolo attraversi col rosso una intersezione regolata da segnalazione semaforica, o non si fermi ad un segnale di stop, in una zona trafficata, risponderebbe, solo per questo, degli eventi lesivi eventualmente cagionati sempre a titolo di dolo eventuale, soltanto in virtù della violazione della regola cautelare e della conseguente situazione di pericolo scientemente posta in essere)…”.
La tesi della Corte era: se si prevedesse il dolo per chi si mette alla guida ubriaco o drogato e poi, a causa di questo, provoca un incidente stradale mortale, altrettanto si dovrebbe fare, e sarebbe assurdo, per chi passa con il rosso (e quindi è consapevole di procurare un pericolo per gli altri) ed egualmente provoca un incidente stradale mortale.
L’ultimo grave evento fa però riemergere, in tutta la sua importanza, la necessità di fare qualcosa sul fronte dell’adeguamento delle sanzioni per chi, alla guida del proprio veicolo, ubriaco, drogato o no, uccide una persona e poi scappa e, più in generale, per chi chiunque commetta un “omicidio stradale”.
La proposta di legge portata avanti sull’omicidio stradale, anziché prevedere un’autonoma e nuova fattispecie di reato deve, molto più semplicemente, realisticamente e praticamente, proporre l’inasprimento delle pene previste nell’attuale impianto del codice penale, con particolare riferimento all’aumento del minimo della pena per tutti gli omicidi colposi, in modo che finalmente chi uccide una ragazzina di 16 anni e poi fugge, rimanga, senza sconti, nelle patrie galere per qualche decina d’anni, così come per chi, ubriaco o drogato, si mette alla guida ed uccida o ferisca qualcuno.
Gli altri fronti sui quali ci si deve tutti battere sono:
– l’educazione al rispetto delle regole perché solo la prevenzione massiccia e costante può cambiare i comportamenti;
– la diffusività dei controlli da parte degli organi di polizia stradale, perché questi eventi accadono anche per una mancanza di controllo;
– una maggiore assunzione di responsabilità da parte di tutti gli operatori del diritto (polizia, magistratura) riguardo l’applicazione degli istituti già esistenti.
[1] Ci si riferisce alla condanna inflitta a Silvio Berlusconi per concussione per costrizione e sfruttamento della prostituzione minorile.
[2] Così si era pronunciato il G.U.P. del Tribunale di Roma con sentenza n. 2708 del 26 novembre 2008.
[3] Corte di Assise di Appello di Roma, sentenza n. 29 del 18 giugno 2009, con la quale si derubricava il capo di imputazione in omicidio colposo aggravato dalla previsione.