– servizio a cura di Nadia Fondelli – foto di Edoardo Abruzzese
Greta non è sola. Dodici anni di tempo sono davvero pochi per salvare il pianeta, ma se riusciamo a mettere da parte egoismi e interessi sporchi possiamo garantire un futuro a lei e ai nostri figli.
Recentemente si sono riuniti a San Miniato (PI) giornalisti e studiosi internazionali per il XV Forum della stampa ambientale. La tre giorni organizzata da Green Accord aveva il significativo titolo di “Foreste: il respiro della terra”. Un respiro che rischia di esaurirsi in breve tempo se non decidiamo davvero di invertire radicalmente e velocemente la rotta.
Chi continua a voler trarre profitto e sfruttare il pianeta addirittura mette in campo strategie negazioniste raccontando che i cambiamenti climatici sono un’invenzione. Un vecchio refrain della comunicazione banditesca quello di considerare catastrofisti e matti chi la pensa diversamente e cerca di aprire gli occhi alle masse dormienti.
Anche Greta, nell’innocente determinazione dei sui sedici anni viene derisa e offesa, mentre sono centinaia i colleghi, gli attivisti e chiunque cerchi di opporsi a governi corrotti e industrie senza scrupoli che, in alcune parti del mondo, rischiano la vita solo perché stanno dalla parte delle foreste e degli indigeni. 200 sono gli omicidi all’anno per cause ambientali. Numeri impressionanti che se sommati alle migliaia di vittime causate dallo scempio non esageriamo a dire che trattasi di genocidio. Contadini, indigeni, giornalisti, avvocati, membri di organizzazioni di volontariato e gente comune che vuole semplicemente vivere: dall’Amazzonia al Congo, dal Messico alle Filippine, dall’India alla Colombia.
La fame di profitto degli sfruttatori del pianeta non è poi così lontana da noi come si pensa. Basti pensare che alcuni dei Paesi sopra citati sono democratici e tanti governi “agevolano” certe industrie.
Non ci sentiamo catastrofisti a lanciare l’allarme e a volerci unire a Greta e al suo movimento per lo sciopero del clima anche se, ahimè, da noi la parola sciopero, se poi fatto di venerdì, è solo l’occasione per un week end lungo…
Dobbiamo TUTTI cambiare profondamente nel quotidiano anche a costo di mettere da parte molte nostre comodità.
Personalmente, occupandomi di cibo e vino, mi sento spesso dire: ma cosa c’entra l’ambiente? Perché ti definisci una giornalista enogastronomica ambientale?
Le nostre azioni quotidiane invece, anche quando decidiamo di fare la spesa, hanno un forte peso politico.
Basti pensare che, per stare dentro gli accordi di Parigi ad esempio, ognuno di noi dovrebbe ridurre del 50% il consumo della carne e non solo per fermare lo sfruttamento della terra, ma semplicemente perché per ogni 200 gr. di prosciutto che mangiamo sputano nell’aria la bellezza di 1 kg. di anidride carbonica.
Se qualche alieno, dal suo pianeta, osservasse la terra penserebbe che siamo dei folli che si stanno suicidando dato che stiamo consumando una volta e mezzo il pianeta che abbiamo a disposizione!
Ma la volontà e quella di imbavagliare le notizie “verdi”, che se vengono date, hanno lo stesso peso nella cronaca e sui tg di una notizia di costume.
Nel nostro democratico Bel Paese ad esempio, analizzando i principali sette telegiornali della sera su 49.000 notizie quelle a carattere ambientale sono solo 4.650 pari a un misero 9% e per lo più riferenti a “cronaca viva” di allagamenti, alluvioni, trombe d’aria…
All’estero com’è la situazione?
Peggiore se analizziamo la situazione dei paesi emergenti o in via di sviluppo anche in virtù ai crimini che vengono perpetuati. Abbiamo sentito durante il Forum gli accorati appelli dei colleghi sudamericani, africani e asiatici. Abbiamo deciso di urlare la loro voce alle nostre latitudini, di dire che se 300/400 aziende monopolizzano il pianeta qualche stortura c’è.
L’Amazzonia, polmone verde del mondo, è assassinata per lasciare posto ai pascoli e alle piantagioni a monocultura e alimentare così l’hamburger connection, alla faccia delle centinaia di tribù indigene che lì vivono da secoli.
La foresta pluviale indonesiana viene rasa al suolo e avvelenata con incendi del sottobosco che uccidono e intossicano migliaia di bambini in nome del business dell’olio di palma.
La foresta africana, fra Nigeria, Congo e Kenya, è preda di antiche usanze (l’uso della carbonella per cucinare) e sporchi affari di chi deforesta per aprire miniere anche di quel coltan prezioso per regalarci l’ultimo modello di smartphone in più e tutto ciò alla faccia della natura e dei tanti bimbi-lavoratori che, come topi in quelle miniere improvvisate, muoiono a migliaia nell’indifferenza del mondo civile.
La collega nigeriana Ugochi Oluigbo che dal suo programma green della TVC entra nella foresta per far vedere quanto siano violentate mostra coraggio e forza dirompente in un paese dove i temi ambientali sono ignorati ed essendo donna fa cose culturalmente rare. “Ho due bimbi di 6 e 4 anni a casa – racconta – e devo pensare al loro futuro”.
Accorato appello arriva anche dall’India dove la collega Keya Acharya leader di 650 giornalisti ambientali del grande subcontinente “grande come 18 Italie messe insieme” esordisce “dirò delle cose che non fanno piacere al governo indiano, ma il futuro dell’India sarà green grazie a noi” ma la realtà è di politici che “fingono” azioni virtuose inaugurando (rare) nuove centrali con fonti rinnovabili, come in un teatrino grottesco per nascondere una realtà fatta di smog e polveri sottili dato che non solo Delhi e Bangalore, ma altre dieci sono le città del subcontinente dove è difficile vivere. Un primato poco invidiabile.
La collega Kaarina Ruggiero del Canada suggerisce invece di fare pressioni sulle amministrazioni locali nella certezza che l’esempio deve venire dal basso, ovvero dalle comunità locali. In Australia il primo municipio che ha inserito nel suo statuto le buone pratiche ambientali e di tutela del pianeta ha innescato tante imitazioni virtuose che si sono spante in tutti i continenti ed infine ha colpito non poco la platea la vicenda della foresta di Hambach in Germania narrato dalla coraggiosa Amira Armenta.
Si trova in Germania, l’unica foresta primaria rimasta in Europa che, nell’indifferenza della signora Merkel e dei suoi ministri, è già stata sterminata per il 92% dalla compagnia elettrica RWE (che ne è proprietaria) per estrarre lignite. Ebbene sì la grande Germania è arretratissima dal punto di vista energetico dato che utilizza ancora, nel 2019, il peggior combustibile fossile del pianeta. La ex foresta di Hambach infatti da sola è responsabile dell’emissione in atmosfera di polveri sottili tanto quanto tutto il traffico teutonico!
Ma la compagnia vuole andare avanti e alla faccia degli accordi di Parigi intende “sfruttare” la lignite fino al 2050 anche se una commissione governativa formatasi apposta a ridimensionato la data al 2038.
Peccato però che la Germania abbia firmato gli accordi di Parigi dove la data limite è il 2030, tant’è che anche la Commissione europea è dovuta intervenire.
“You have no excuse, and we have no time” dichiara col suo cipiglio deciso Greta davanti ai grandi del mondo. E tutti dobbiamo urlarlo insieme a lei!