di Elena Scarici – «La camorra napoletana dopo aver smaltito al sud per 20 anni i rifiuti prodotti al Nord, inquinando parte di questo territorio, ora va a smaltire i rifiuti campani altrove, ad esempio in Toscana».
Il procuratore nazionale antimafia Franco Roberti, intervenuto alla seconda giornata del Forum internazionale per la salvaguardia della natura promosso da Greenaccord a Napoli dal 6 al 9 novembre scorso, ha offerto un’analisi dettagliata sulla situazione dello smaltimento illegale dei rifiuti, un sistema criminale in continua evoluzione e non solo in Campania.
«Oggi parlare di ecomafia è riduttivo perché c’è una criminalità ambientale che va al di là della mafia, il traffico illecito dei rifiuti «è ora un fenomeno transnazionale» e dalle indagini emergono addirittura «sinergie italo-cinesi». Roberti ha fatto capire che i rifiuti non sono un problema solo napoletano e nemmeno solo italiano, ma mondiale. «Mi ricordo – ha raccontato – quando un camorrista mi disse che lavorava con i rifiuti e non più con la cocaina perché le eventuali sanzioni erano risibili». In effetti, fino al 2001 il reato prevedeva solo una contravvenzione e questo – ha spiegato Roberti – «ci impediva di usare le intercettazioni telefoniche, di coinvolgere l’Interpol e di contestare il reato di associazione a delinquere». Ora la situazione è fortunatamente diversa, grazie alle norme introdotte tra il 2006 e il 2010. «L’anno scorso, un protocollo d’intesa tra l’Antimafia e il Corpo Forestale dello Stato, ha permesso di fare indagini preventive sui reati spia, mappando meglio i territori in cui avvengono e permettendoci di intervenire in modo più mirato», ha aggiunto Roberti. Ma le soluzioni sono ancora lontane. La difficoltà di perseguire i reati ambientali si inserisce nei decennali problemi del pianeta giustizia in Italia: «Se la giustizia penale antimafia tutto sommato funziona – ha osservato Roberti – il mondo della giustizia penale ordinaria langue. Ancora oggi vanno in prescrizione moltissimi reati, con punte del 50%».
Nel frattempo però anche la criminalità si è aggiornata, costruendo sinergie mondiali per trasferire i rifiuti all’estero (Cina, Est Europa, Corno d’Africa le destinazioni più a rischio) e infiltrandosi nella Green economy con investimenti nel fotovoltaico, nell’eolico e nelle biomasse («la vicenda del Parco eolico di Isola Capo Rizzuto è solo la punta dell’iceberg», ammonisce Roberti). Altro pericolo da cui difendersi è il rischio di infiltrazioni mafiose nel sistema delle bonifiche che però, a giudizio del procuratore, sono una scelta inderogabile. «Non si può perdere tempo, le bonifiche devono essere avviate; una scelta, credo, anche eticamente necessaria».
«Sarebbe estremamente utile destinare alle attività di bonifica parte delle risorse derivanti dai beni sequestrati alla criminalità» – ha detto in proposito il presidente della Commissione Ambiente della Camera, Ermete Realacci, mentre il coordinatore nazionale dell’Osservatorio sulle ecomafie di Legambiente, Antonio Pergolizzi, ha fatto notare: «Non c’è indagine in cui non siano stati coinvolti colletti bianchi. Politici, burocrati, funzionari pubblici ed esperti privati hanno avuto un ruolo attivo». Urge, dunque, un riscatto collettivo in cui ognuno è chiamato a fare la sua parte, per quanto piccola possa sembrare. A partire dall’abbandono di quella che Papa Francesco ha definito “cultura dello scarto” che, ha ricordato Angelo Spinillo, vescovo di Aversa: «ci spinge a considerare scarto tutto ciò che non ci è utile in un certo momento». Infine Antonio Giordano, direttore dello Sbarro Institute di Philadelphia, ha snocciolato dati inquietanti sugli effetti dei rifiuti tossici in Campania, come «l’aumento esponenziale di patologie rare e di cancri aggressivi come quelli del fegato o come i quarantamila casi in più di tumori alla mammella in donne al di sotto dei 40 anni e in particolare nella fascia di età tra i 25 e i 30 anni».