di Jacopo Zucchini – Il 25 agosto 1944 Franco Mazzini aveva 10 anni e si trovava con i suoi familiari fra gli sfollati di Podernovo che erano – ricorda – 114. Si è scusato ed ha mentito attribuendo la sua emozione al fatto di non aver mai parlato in pubblico; si è seduto davanti al microfono ed ha offerto ai presenti il privilegio di condividere il ricordo di quella terribile giornata.
Quel 25 agosto di 68 anni fa era una giornata caldissima, come quelle dell’agosto 2012. Due ragazze erano giunte impaurite alla villa, gridando e piangendo perché a Lagacciolo si sentivano esplosioni e raffiche di spari. Il nonno di Franco, un vecchio burbero, le aveva quasi rimproverate per lo schiamazzo e aveva dato disposizione perché donne e bambini, con calma, salissero al piano superiore della villa e lì rimanessero riparati.
Non c’era stato tempo.
Franco aveva visto dei soldati tedeschi che stavano arrivando a Podernovo e aveva avvertito il nonno, poi con sua madre e sua zia si era rifugiato alla svelta nello stanzone (lo stesso nel quale ora parlava) e si era rannicchiato con le due donne in un angolo, in una delle brande dove a sera dormivano i tanti sfollati.
Per far posto alle brande i mobili erano stati accatastati davanti a due delle tre finestre dello stanzone di pianterreno che dunque erano state chiuse.
Un soldato tedesco si era avvicinato con grida incomprensibili all’unica finestra rimasta aperta e, senza alcun motivo, gli aveva sparato contro una raffica di mitra (le sbarre della finestra recano ancor oggi i segni dei proiettili). Poi aveva lanciato una bomba all’interno del locale facendo crollare la parete che Franco, mentre racconta con la voce spezzata indica alle sue spalle, e con la parete era venuto giù il focolare che oggi non c’è più, ma che Franco – si capisce bene – vede esattamente nel posto dove si trovava, proprio accanto alla porta, oggi murata, di uno studiolo. L’esplosione aveva sconvolto tutto e scaraventato distante i corpi di una sua zia e di una sua cugina anche loro nella stanza.
Nel suo angolo Franco, la mamma e la zia, terrorizzati, si erano rincantucciati ancor più e si erano tirati sulla testa il materasso. Poi avevano aspettato angosciati che finissero le esplosioni e le raffiche.
Quando erano usciti da quell’improvvisato rifugio, nelle stanze e nei corridoi della villa c’era un’ecatombe di morti e feriti.
Franco racconta pacatamente, interrompe appena il suo racconto chinando la testa e allargando le palme delle mani. Per tutto il tempo mantiene un amaro sorriso da sopravvissuto, appena una piega delle labbra.
Poi racconta come i corpi straziati delle vittime fossero stati composti nella cappella della villa (dove oggi spicca una lapide con i loro nomi), l’affannarsi delle suore della Consuma, alcune delle quali prestavano servizio all’ospedale, per cercare di curare i feriti con il niente che c’era a disposizione. Fa il nome della suore e dalla sala qualcuno ne riconosce una, suor Giovanna, per essere stata la propria insegnante.
Poi il seppellimento delle vittime avvolte in coperte. Tutte meno una. Suo nonno aveva composto in un vecchio e grosso baule il corpo di una delle proprie figlie.
Di nuovo il sopraggiungere dei tedeschi che spudoratamente dicevano che il massacro era stato compiuto non da tedeschi, ma da partigiani travestiti.
I soldati sopraggiunti cercavano il capo della comunità degli sfollati. Con un gesto della mano il vecchio patriarca aveva indicato con prontezza il baule appena calato nella fossa e aveva detto: “Eccolo”.
I tedeschi se ne erano andati e i sopravvissuti, ancora terrorizzati, avevano cominciato a scappare da lì, ad allontanarsi, incolonnati, verso Firenze libera.
I superstiti trascorsero la notte al precario riparo di un fosso mangiando qualche avanzo di pane e del formaggio e alle prime luci del mattino si fece loro incontro il primo soldato inglese e il soccorso per i feriti.
Nell’assoluto silenzio dello stanzone di villa Podernovo, per poco più di dieci minuti, Franco Mazzini ha azzerato 68 anni di vita ed ha offerto una rappresentazione della memoria nel modo che nessun trattato è in grado di fare: ha reso tangibili l’incredulità, la violenza stragista tedesca, l’orrore della guerra, la paura, la liberazione, la fatica di ricordare.
Ricordare può essere faticoso, ma è fondamentale.
Recentemente alla Consuma è stato ricordato il 69° anniversario degli eccidi nazisti di Podernovo, Lagacciolo e Consuma.
La villa e fattoria di Podernovo si trovano nel comune di Pelago, poco oltre il passo della Consuma e al di là del confine del Comune di Montemignaio.
La villa e la fattoria accoglievano allora gli sfollati delle frazioni vicine, impauriti perché l’aviazione alleata spezzonava di continuo le autocolonne tedesche in ritirata sulla strada della Consuma e, a loro volta, i tedeschi avevano piazzato batterie antiaeree, cosicché la battaglia continuava sebbene già dall’11 agosto Firenze fosse stata liberata.
Da molti anni a questa parte, il 25 di agosto si tiene a Podernovo una “Solenne commemorazione dei Martiri della Montagna fiorentina degli eccidi nazisti di Podernovo, Lagacciolo, Consuma” voluta dalla sensibilità dell’attuale proprietario, il musicista e docente del Conservatorio di Firenze James Demby. Di famiglia americana, ma nato in Italia, Demby ha costituito l’Associazione culturale “Lucia Drudy Demby” in onore della madre.
Dunque, promossa dell’ Associazione culturale “Lucia Drudy Demby”, in collaborazione col Comune di Pelago, la commemorazione di quest’anno ha avuto in Franco Mazzini, scampato all’eccidio di Podernovo, un protagonista eccezionale.