di Claudio Molinelli – E approdato con successo sul palcoscenico del teatro Garibaldi di Figline “La coscienza di Zeno”, prodotto e realizzato dalla compagnia del teatro Carcano di Milano.
La rappresentazione del romanzo, scritto da Italo Svevo nel 1923, si avvale della riduzione teatrale redatta da Tullio Kezich nel 1964, già portata in scena da attori del calibro di Alberto Lionello, Giulio Bosetti e Massimo Dapporto. Nel ruolo di Zeno Cosini, il protagonista, troviamo stavolta uno tra gli attori più stimati e popolari delle nostre scene, Giuseppe Pambieri, mentre la regia è affidata a Maurizio Scaparro.
L’allestimento prevede un mutevole avvicendarsi di ambienti svelati da un sipario che si alza e si abbassa a mostrare le varie scene che compongono i capitoli della vita di Zeno Cosini, così come egli li ricorda nel memoriale scritto su suggerimento del suo psicanalista, il dottor Esse.
Zeno, commerciante triestino nato nel 1857, è un uomo pieno di nevrosi e nella sua auto biografia terapeutica mette a fuoco alcuni episodi fondamentali della propria vita. Il fumo, vizio contratto da ragazzo che lo accompagna per tutta l’esistenza, nonostante i numerosi tentativi di pervenire all’”ultima sigaretta”. Il contrastato rapporto con il padre, suggellato perfino da uno schiaffo affibbiato a Zeno dal genitore in punto di morte. Il mondo degli affari e della borsa, sostanzialmente estraneo alla bizzarra natura del protagonista.
La vicenda che lo vede alla ricerca di una moglie sottolinea con forza tutta la fragilità e la precarietà del suo stare al mondo: introdottosi nella famiglia Malfenti, conosce le quattro figlie del padrone di casa; si innamora subito di Ada, la più bella, che però lo respinge. Dopo un tentativo a vuoto con Alberta, finalmente si accasa con Augusta, l’unica che sa comprenderlo. Anche una successiva relazione extramatrimoniale con Carla viene vissuta passivamente da Zeno finchè l’amante decide di interromperla. C’è poi l’episodio della società commerciale fondata con il cognato Guido, marito di Ada, che affonda nei debiti e si conclude tragicamente col suicidio di Guido. Alla fine, nel 1916 in pieno conflitto bellico, il dottore se ne va e Zeno raggiunge uno stato di guarigione che si fonda sulla consapevolezza che non lui è il malato, ma la società nella sua interezza. Solo un’immane catastrofe, profetizzata da Zeno nel finale, può ricondurre il mondo alla purificazione.
Zeno Cosini incarna compiutamente l’uomo del primo Novecento con tutta la sua angoscia esistenziale. La vita si rivela per essere una ”malattia” che finisce per coinvolgere tutti gli uomini. Essa appare a Zeno “priva di senso” e ancora “non è bella nè brutta, ma originale”. La sua interpretazione richiede allora ironia, distacco e disincanto. La psicanalisi diventa una pratica capace di fare chiarezza nei meandri confusi della personalità, di portare in superficie i lati oscuri della propria coscienza. Zeno è un antieroe che rispecchia le debolezze umane dell’uomo moderno e in questo è fratello dei personaggi di Pirandello, Proust, Joyce.
Lo spettacolo si avvale di un bell’impianto scenico e di un buon livello degli interpreti. Spicca naturalmente la qualità di Giuseppe Pambieri nel dar vita a Zeno Cosini: la sua interpretazione sobria e misurata, costruita su un timbro di voce caldo e sull’eleganza del portamento, lo conferma tra gli attori di maggior classe delle scene italiane.