– di Nadia Fondelli –
Tanto si è parlato, detto, scritto e letto sul tema scuola. Anzi meglio dire “buona scuola”, tutto doveva cambiare: il precariato è rimasto, i programmi, rimaneggiati con più arte e cultura e tecnologia, annunciano una rivoluzione che non c’è e l’eterna distanza siderale che divide talvolta studenti da docenti è rimasta invariata.
Le iniziative sono quindi (come sempre) rimandate alle buone intenzioni di alcuni e a Firenze e dintorni, un gruppo virtuoso fra cui Asl, Inps e Questura hanno in ponte una serie di programmi sperimentali che da qui a breve dovrebbero darci una visione d’insieme su temi importanti quali la sicurezza ambientale, il lavoro e l’annoso tema del come combattere al meglio le dipendenze.
E’ questo ultimo argomento che più ha attirato la nostra attenzione, specie dopo le polemiche che lo scorso anno scolastico hanno seguito la notizia dei cani antidroga che setacciavano fra i banchi di una scuola su richiesta d’intervento di un preside.
Un articolo a tal proposito, quasi un grido di allarme, lanciato attraverso il nostro giornale da una studentessa di quella scuola ha avuto un grosso seguito e ci ha fatto ancor di più capire che intorno all’argomento c’è parecchio da discutere per un confronto sano e propositivo.
Il Comitato Scuola Sicura Insieme, non a caso, sta lavorando su un progetto formativo dal titolo “Prevenzione delle dipendenze negli edifici scolastici” dove il tema viene affrontato da molte angolazioni, nella consapevolezza che oggi parlare di dipendenze non è più, come accadeva negli anni ’70 e ’80, limitato al problema droga.
Obiettivo del progetto, oltre formare i docenti su come affrontare al meglio in aula la tematica, intende coinvolgere anche i genitori e gli studenti stessi nella certezza che solo una corretta interazione possa costruire.
Al progetto hanno aderito quattro scuole: il liceo classico e musicale Dante e gli istituti Peano, Buontalenti e Leonardo da Vinci.
Per meglio capire lo stato dei lavori, le idee, i sogni e le prospettive abbiamo incontrato Giacomo D’Agostino, presidente della “rete” e preside dell’Itis Leonardo da Vinci.
All’interno dell’Istituto, fra le mura storiche di un organismo scolastico che ogni anno dall’inizio del Novecento “movimenta” circa duemila alunni, eravamo consapevoli di essere nell’osservatorio giusto e con l’interlocutore giusto: il professor D’Agostino ha alle spalle quasi quaranta anni di insegnamento e oltre dieci di presidenza al Da Vinci.
“E’ bene iniziare dicendo che oggi, parlare di dipendenze non è solo parlare di droghe, ma anche di alcool, internet e gioco” – puntualizza subito il professore, facendoci capire come siamo lontani dalla realtà, inebetiti dai tanti luoghi comuni saldi nelle nostre menti.
“Abbiamo chiaro che, e le esperienze del passato insegnano, gli interventi spot non servono. Il sensazionalismo dura un attimo e irrigidisce le posizioni. I ragazzi, a questa età sanno benissimo che la droga, ad esempio, non fa loro bene. Serve altro e come riconosciuto da studi effettuati dall’organizzazione mondiale della sanità ciò che serve per cambiare l’approccio è quello che gli americani chiamano life skills.
Solo cambiando le “competenze di vita” possiamo cambiare mentalità ed approcciare nella giusta maniera al problema.”
Per far questo ecco specifici corsi di formazione per gli insegnanti che vedono coinvolti anche psicologi e assistenti sociali. I frutti di questa formazione inizieranno a maturare, in via sperimentale, nei quattro plessi scolastici che hanno aderito al progetto, nell’anno scolastico 2016-17.
Come giusto, abbiamo voluto sentire sull’argomento anche il parere dei ragazzi.
Anita Fallani della rete degli studenti medi ci fa sapere che per gli studenti, che nelle scuole spesso sopravvivono, più che vivono, è importante portare avanti tematiche politicizzate un po’ retrò e contare di più nella società.
Niente di nuovo in questo se non fosse che, dalla generazione dei millenniums era auspicabile aspettarsi qualcosa di più.
Sollecitata sul tema dipendenze la rappresentante studentesca ha premesso che se c’è droga è giusto agire, però, dato che poi è il preside che sceglie se chiamare la polizia o meno, farlo significa agire con forza e quindi cercare lo scontro.
In poche parole, anche se la determinazione politico-lessicale di una sedicenne ci ha stupito, la polizia nelle scuole gli studenti non la vogliono, perché se il preside la chiama è un cattivone e loro lo attaccano.
Con buona pace della preside torinese che ha cercato di “educare” i suoi studenti chiamando sì la polizia per denunciare, ma non punendo poi gli studenti disciplinarmente.
E’ in fermento un approccio tutto nuovo che va nella direzione del prevenire senza far sapere di prevenire, il futuro di una consapevolezza che senza dipendenze si può, a scuola e fuori.
Il nuovo se c’è è ancora lontano.
Il presente ha una sola certezza: i cani nelle scuole come deterrente antidroga piace davvero a pochi.