di Sergio Bedessi – Dopo il tragico ultimo fatto di Berlino, nel quale hanno perso la vita tredici persone (fra queste l’autista del camion, Lukasz Urban, che ha cercato di fermare il terrorista ed è stato da questi ucciso), e che ha seguito di poche ore l’uccisione dell’ambasciatore russo in Turchia Andrey Karlov, appare tanto più importante il tema trattato nel seminario che si è tenuto lo scorso 2 dicembre a Lignano Sabbiadoro “Immigrazione, terrorismo e sicurezza urbana“.
E’ evidente come, da tempo, il terrorismo abbia cambiato passo: nessuno può dirsi sicuro, non esistono come in passato obiettivi sensibili: ogni ristorante, ogni cinema, ogni mercatino di Natale ed ogni lungomare possono essere il prossimo obiettivo dei terroristi. Un terrorismo senza alcuna logica e quindi imprevedibile, un terrorismo che non usa più le armi o gli esplosivi, ma che utilizza gli strumenti della vita quotidiana, come un autoarticolato, che riesce ad utilizzare come strumenti di morte e di strage.
Nel seminario “Immigrazione, terrorismo e sicurezza urbana” è stato dimostrato da una parte come vi sia comunque un legame fra fenomeni migratori e terrorismo (e l’ultimo fatto di Berlino lo conferma per l’ennesima volta) e dall’altra come anche i Comuni e i Sindaci – tramite le polizie municipali/locali – possano fare qualcosa per rafforzare la sicurezza delle città anche rispetto a questi eventi.
Andiamo adesso ad una piccola analisi del problema.
1) Non esistono più i classici “obiettivi sensibili” che la polizia doveva proteggere e riusciva a proteggere: ogni luogo di aggregazione, anche nelle città più piccole, può divenire un obiettivo del terrorista. Diventa quindi estremamente difficoltoso per gli organi di polizia presidiare ogni possibile obiettivo; non si può certo militarizzare le città, i cinema, i ristoranti, ogni luogo di aggregazione grande o piccolo. In pratica il terrorismo odierno ha reso pressoché impossibile, oltre che estremamente costoso in termini di risorse, il presidio del territorio da parte degli organi di polizia.
2) Il terrorista prima faceva parte, comunque, di una organizzazione: oggi è sempre più qualcuno avulso da qualsiasi organizzazione, al massimo ha contatti via internet, mai diretti. In pratica il terrorista odierno è una cellula a sé stante facente parte di quella metastatizzazione che il terrorismo ha adottato e che lo rende così virale e pericoloso. Da qui la difficoltà di individuazione preventiva con i metodi e le tecniche classiche che si basavano sull’analisi dei fattori organizzativi del terrorismo, oppure sul criminal profiling che partiva dall’identificazione dei potenziali appartenenti con i particolari valori di quella determinata organizzazione terroristica.
3) I terrorismi non usano più armi ed esplosivi, o anche armi chimiche o batteriologiche: adesso i terroristi usano gli strumenti della vita quotidiana, come un camion, per seminare morte e distruzione. Anche questo contribuisce alla difficoltà di individuazione di questi soggetti, individuazione che spesso si basava sul recupero di armi o esplosivi magari in un appartamento, cosa che consentiva poi di risalire ai soggetti.
Tutto questo non significa che non sia possibile una previsione e una prevenzione.
La prevenzione e, a monte, la previsione sono possibili prendendo atto del nuovo paradigma terroristico e quindi:
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accettare che gli obiettivi più sensibili sono ormai quelli più facili e non quelli più emblematici, un terrorismo da centro commerciale, da cinema, da ristorante, un terrorismo mutante che ricalca i nostri modelli di vita e che a quelli si adatta;
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accettare che il terrorista spesso non è legato ad alcuna organizzazione, ma semplicemente un soggetto che si è radicalizzato nel territorio in modo solitario utilizzando come strumento principale i social media;
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accettare che gli strumenti di morte possono essere qualsiasi e non più solo armi ed esplosivi.
La vera difesa che si deve adottare è prima di tutto quella di riprenderci la nostra identità culturale senza la paura di essere tacciati di xenofobia solo perché vogliamo rivendicare a voce alta il diritto alla nostra storia, alla nostra identità, al fatto che abbiamo fatto la storia di questa parte del mondo e non vogliamo e non dobbiamo concederla, pur con il dovere di accoglienza a chi è in difficoltà ed a chi ci vuole propinare a forza la loro.
Secondariamente ognuno di noi deve diventare un ostacolo per il terrorismo: segnalare agli organi di polizia ogni anomalia, ogni dubbio, ogni sospetto. Dobbiamo tutti attivarci. Reagire attivandosi come fanno i terroristi stessi: ognuno di noi deve essere un terminale sensibile, un recettore, un informatore della polizia; una polizia italiana (Polizia di Stato, Carabinieri, Guardia di Finanza e anche Polizia municipale/locale) che spesso funziona meglio delle altre, tant’è che il terrorista di Berlino, Anis Amri, è stato intercettato ed ucciso proprio dalla Polizia di Stato italiana.
Infine si deve prendere atto che il fenomeno terrorismo è correlato al fenomeno immigrazione, senza per questo dire che tutti gli immigrati sono terroristi, ma senza neanche rifugiarsi dietro un buonismo degno di miglior causa: quando gli immigrati chiedono la protezione sussidiaria ed ottengono una ricevuta della domanda, poi sono liberi di scorrazzare a destra e a manca per l’Italia e – complice l’abolizione delle frontiere interne – in tutta Europa. Questo certo può facilitare che eventuali infiltrati fra loro abbiano grande libertà di movimento in tutta Europa, prova ne sia l’ultimo fatto di Berlino dove l’attentatore, proveniente dall’Italia, dopo l’evento era già transitato in Francia e poi è stato ucciso in Italia.
Come mostrato nel convegno “Immigrazione, terrorismo e sicurezza urbana”, il ruolo dei Comuni, dei Sindaci, delle Polizie municipali/ locali in questa fase è cruciale: molte azioni di prevenzione, ma anche di contrasto, devono essere attuate proprio da parte delle Amministrazioni Comunali, per mezzo delle proprie polizie locali.