di Claudio Molinelli – Al debutto della stagione di prosa numero 42, il teatro Garibaldi di Figline Valdarno presenta “il Principe” di Niccolò Machiavelli, nella ricorrenza dei 500 anni dalla sua composizione. Il celebre testo è riadattato liberamente da Stefano Massini, autore sempre più affermato, che firma anche la regia, e portato in scena dalla compagnia toscana dell’”Arca Azzurra”, con sede a San Casciano Val di Pesa, fondata da Ugo Chiti. La rilettura di Massini utilizza la singolare metafora della cucina, per cui il principe diventa un piatto da cucinare; la voce fuori campo di Machiavelli ( Roberto Herlitzka) incarica un gruppo di cuochi di “preparare” un principe che risollevi le sorti dell’Italia, già allora ridotta a malpartito.
Inizia così un serrato dialogo tra i cinque cuochi, tre uomini e due donne; questo principe dovrà essere dolce o salato, cucinato arrosto, fritto o al vapore? A ogni caratteristica culinaria s’abbina una qualità psicologica o caratteriale, ogni ingrediente è soppesato per forgiare un comandante in grado di guidare il suo popolo. La necessità di avere sogni è più importante dell’amore per il denaro, la solidità pratica è preferibile all’arte discorsiva. In parallelo si evocano figure storiche che hanno incarnato virtù e vizi in questione, da Maometto II, il Turco, guerriero sognatore, a Savonarola, predicatore eccessivo. Il testo di Machiavelli rifulge per acume e finezza psicologica che innervano una visione estremamente pragmatica dell’arte politica, dove si apprezza molto più l’efficacia dei risultati piuttosto che l’adesione agli ideali astratti. In questo contesto anche l’intrigo e la crudeltà sono necessari a un buon capo; qualità come forza e astuzia sono entrambe importanti, per essere “volpe e leone” allo stesso tempo. Sfilano i ritratti del tiranno di Siracusa, di Settimio Severo di Roma, di Ludovico il Moro, di Cesare Borgia, il “Valentino”, particolarmente ammirato da Machiavelli per coraggio e ambizione. E’a lungo dibattuto se sia più necessario essere fortunato o virtuoso, mentre è indubbio che occorra l’arte di apparire, come papa Alessandro VI , modello di “faccia tosta”. L’interlocutore del principe rimane pur sempre il popolo, e a quello italiano sono dedicate le citazioni finali, illuminanti se non profetiche, di Indro Montanelli, di Goethe (sull’anarchia “italica”), di Pasolini (sulla cialtronaggine nostrana), di Natalia Ginzburg, e il monito dell’Agenzia di rating Moody ‘s.
Lo spettacolo è stimolante, e restituisce il fascino senza tempo della parola di Machiavelli e la sua riflessione sul potere e sui potenti – è facile per lo spettatore vedere materializzarsi politici, italiani e non, del passato e del presente- mantenendosi comunque godibile: le numerose citazioni storiche potevano appesantire lo spettacolo, ma il ritmo dell’azione si mantiene serrato, grazie anche a una colonna sonora sorprendente, che va dalla tarantella al tango. Gli interpreti, Giuliana Colzi, Andrea Costagli, Dimitri Frosali, Massimo Salvianti e Lucia Socci, sono efficaci e rendono bene un’ambientazione intrisa di rustica e arguta toscanità.
Sull’eternità e quindi sull’attualità del “Principe” così si esprime Stefano Massini : ”… Machiavelli sta oltre il suo momento storico, parlandoci innanzitutto del Potere, antico quanto l’uomo, privo d’epoca. Machiavelli dispone il Potere sul suo tavolo operatorio, e con bisturi affilatissimo ne investiga le più sanguigne profondità. La sua analisi è talmente scientifica da assomigliare più a uno specchio che a un argomentare, inappellabilmente spietata e per questo lucida, dunque tuttora credibile”.