di Sergio Bedessi – Il Palazzo di Giustizia di Firenze!
Definirlo uno spreco di spazi è dir poco: lungo 240 metri e largo 146, alto 72 metri, occupa una superficie di ben 800.000 metri quadrati con uno spazio utile di soli (rispetto al contesto, ma si fa per dire soli, perché di tratta comunque di una superficie enorme) 126.000 metri quadrati, è il secondo palazzo di giustizia più grande d’Italia.
La prima cosa che viene da chiedersi è come mai Firenze, che non è certo la seconda città d’Italia per estensione o per popolazione, ha un palazzo di giustizia di questa stazza; sarà forse dovuto al numero delle cause, penali e civili, che magari la rendono la seconda città d’Italia per litigiosità legale?
Il Palazzo di Giustizia è apparentemente nuovo, ma il progetto in realtà è vecchio, vecchissimo, dal momento che risale addirittura al 1970; opera di Leonardo Ricci, architetto appartenente al movimento detto “brutalismo”, non nuovo ad architetture faraoniche e colossali, alcune delle quali, per fortuna dei contribuenti, mai realizzate.
Il termine “brutalismo” (“brutalism”) nacque in Inghilterra nel 1954; questo termine deriva dal “béton brut” il cemento a vista, senza rifiniture estetiche, lo stile che caratterizzava l'”Unité d’Habitation” (1950) di Marsiglia, progettata da Le Corbusier.
Nel suo libro “Verso un’architettura” (“Vers une architecture”), uno dei testi fondanti del movimento moderno in architettura, già nel 1923 Le Corbusier auspicava l’uso di questi materiali: «L’architecture, c’est, avec des matières bruts, établir des rapports émouvants».
Ma Ricci andrebbe inserito in ben altro tipo di “brutalismo”: quello dovuto alla vera e propria brutalità con la quale ha pensato di ferire il paesaggio urbano di Firenze, ricercando un’assurda competizione con la cupola del Duomo, di Filippo Brunelleschi.
Questo è l’unico e vero brutalismo al quale quest’opera va ascritta, anche perché dei materiali ai quali si riferiva Le Corbusier, materiali simbolo esteriore di un razionalismo strettamente improntato alla funzione dell’oggetto architettonico e senza preoccupazione di abbellimenti di sorta, niente ha; anzi, i vari corpi di fabbrica sono pensati alla luce del principio nettamente contrario: forme inutili e assurde, quanto costose nella realizzazione, con l’unico scopo di rappresentare una giustizia che evoca più collegamenti con il surreale racconto “Davanti alla legge” (“Vor dem Gesetz”, 1915), di Franz Kafka, che con una giustizia veramente vicina al cittadino.
Il brutalismo usato in quest’opera è compagno di merende di un altro orrore italiano: la Torre Velasca di Milano, che è accomunata al Palazzo di Giustizia di Firenze, malgrado il notevole lasso di tempo fra le due opere, dalla voglia di stupire il passante con la propria altezza e le strutture che incutono timore, nonché con il proprio essere avulso dal contesto circostante.
Del resto gli architetti sono molto bravi a mascherare con le parole le brutture; uno degli stessi progettisti della Torre Velasca di Milano, Ernesto Nathan Rogers, ebbe a dire della propria opera; «La Torre si propone di riassumere culturalmente e senza ricalcare il linguaggio di nessuno dei suoi edifici, l’atmosfera della città di Milano, l’ineffabile eppure percepibile caratteristica … ».
Sicuramente aveva ragione, se per atmosfera di Milano intendeva quella dei suburbi, costanti generatori di insicurezza sociale e malessere diffuso.
Egualmente il Palazzo di Giustizia di Firenze rappresenta una realtà altrettanto paradossale: quella di Gotham City, la cupa e futuristica città dove Batman faticosamente combatte il crimine, Gotham City, appellativo che molti avvocati hanno ormai affibbiato al complesso, tanto incute timore a chi vi entra.
Gli spazi interni tutto sono meno che confacenti alle esigenze degli operatori di giustizia che ogni giorno devono lavorare in quel complesso; per andare da un luogo ad un altro del palazzo si devono percorrere centinaia di metri.
Forse Ricci progettando il Palazzo pensava davvero a qualche romanzo di Kafka e voleva ottenere l’effetto di mettere a disagio i malcapitati che abbiano necessità di ricorrere a quella giustizia che dovrebbe presentarsi, anche nelle apparenze architettoniche, più adeguata ad una democrazia mite e moderna, piuttosto che all’orrifica città del crimine nel quale anche il povero Batman ha il suo bel da fare.
Certamente per suscitare sgomento si sarebbe potuto raggiungere lo stesso scopo con meno della metà di quanto si è speso; si è invece voluto dare sfogo alle megalomanie di un architetto che già più volte aveva tentato il colpo, come quando aveva progettato il nuovo cimitero di Scandicci, che aveva addirittura nominato “La grande madre”, per fortuna mai realizzato perché avrebbe invaso tutta una vallata collinare, anche lì con uno spreco di spazio degno delle lande del deserto del Nevada più che delle colline fiorentine.
Anche se il cimitero non fu mai realizzato, il solo progetto del “brutalista” Ricci costò comunque molto ai contribuenti, dal momento che si trattò di decine e decine di milioni di lire dell’epoca, e tutto questo solo per non aver realizzato niente di niente.
Ma tornando al Palazzo di Giustizia di Firenze è emblematico che lo stesso sia stato votato dagli utenti del VirtualTourist come il quinto edificio più brutto al mondo (gli passa avanti lo Spruce Tree Center, un centro commerciale che si trova nel Minnesota), e vien da chiedersi come si sia potuto ottenere una tale primato negativo, a furor di popolo, in una città come Firenze, che è conosciuta in tutto il mondo quale culla del Rinascimento.
Vittorio Sgarbi nel 2011 ha ferocemente criticato il Palazzo di Giustizia (TGT «Il Palazzo di Giustizia dovrebbe essere bombardato … gli architetti che lo hanno progettato dovrebbero essere arrestati …») auspicandone quindi la distruzione e l’arresto dei progettisti; senza arrivare a tale eccesso ci si può limitare a dire che forse aveva ragione Seneca che definì felice quel periodo nel quale non esistevano architetti.