di Sergio Bedessi – Malgrado la nascita di nuovi movimenti e di partiti politici, così come di proclamati rinnovamenti interni ai partiti politici esistenti a suon di supposte rottamazioni, sembra che il potere politico in Italia non cambi mai né faccia, né metodo.
Quasi ogni giorno gli organi di informazione ci danno notizia di vere e proprie “spartizioni” di poltrone, seggiole e strapuntini (in tempi di crisi accettano anche quelli) a favore di questo o quel politico che ha finito magari la carriera da sindaco o da assessore e che certo non vuol tornare a lavorare, forse anche perché un vero lavoro non l’ha mai svolto e non lo saprebbe neanche fare.
Il fenomeno continua, e certo serve a mantenere in piedi un sistema politico che governa non tanto per mezzo dei rappresentanti effettivamente eletti dal popolo sovrano, quanto per mezzo di quei soggetti dislocati nei posti chiave di quelle strutture che, pur privatizzate, in realtà erogano quelli che una volta erano servizi pubblici, e dunque sono in grado di condizionare pesantemente la società civile sotto vari aspetti.
Una volta i servizi pubblici erano gestiti dagli enti pubblici e l’ente pubblico era governato da soggetti politici eletti democraticamente; probabilmente molti servizi pubblici non saranno stati perfettamente funzionanti, in qualche caso erano realmente inefficienti, ma senza dubbio erano a basso costo e consentivano anche alle categorie sociali svantaggiate di accedervi.
Per farli funzionare sarebbe bastato organizzarli meglio e costringere le figure apicali di ogni ente pubblico a fare bene il proprio lavoro; si è scelta invece la strada delle cosiddette “privatizzazioni”, sulla folle utopia delle politiche neoliberiste che il mercato possa essere il magico equilibratore di ogni cosa.
Grazie ad una compiacente legislazione di stampo neoliberista e consociativista si sono quindi letteralmente obbligati (caso mai qualcuno avesse mantenuto un po’ di senno e non fosse d’accordo) gli enti pubblici a costituire le cosiddette società pubblico-private, che sommano insieme i difetti del pubblico e del privato: per esempio, mentre hanno l’inefficienza del pubblico, hanno anche le possibilità di assunzione dei dipendenti del privato e dunque possono assumere chi pare meglio, in barba a qualsiasi procedura trasparente, con l’aggiunta che spesso i servizi erogati dalle società pubblico-private costano fino a quattro volte l’analogo servizio erogato prima dall’ente pubblico.
Solo per esempio basta portare il caso dell’acqua: Firenze, Pistoia e Prato hanno il primato dell’acqua più cara in assoluto in Italia, con un aumento, rispetto all’anno 2000, di ben il 61%, non giustificato certamente dall’aumento medio dell’indice dei prezzi al consumo che nello stesso decennio è stato del 28% (dati Federconsumatori), quindi meno della metà; fra l’altro i dati mostrano come il centro Italia sia la macro area più cara di tutte le altre macro aree italiane.
Il gestore del business dell’acqua della zona di Firenze, Prato, Pistoia e di parte di Arezzo è una società che si chiama Publiacqua, nata incorporando tutti gli investimenti che nel corso degli anni i vari Comuni avevano fatto, in modo tale che, una volta privatizzata, fosse immediatamente operativa; certo che è facile metter su un’azienda in questo modo, senza dover partire da zero, semplicemente trovandosi su un piatto d’argento tutto quanto necessario!
E’ curioso poi, per non dire peggio, che le società pubblico-private di gestione dei servizi facciano spesso parte di un gioco di matrioske: non solo sono partecipate da soci privati che a loro volta partecipano altre società o sono partecipati da altre società, ma esse stesse hanno partecipazioni in altre società.
Sempre per utilizzare come esempio Publiacqua basti pensare che un’azionista di Publiacqua è Acque Blu Fiorentine, a sua volta costuito, fra le altre, da Ondeo Italia spa che è una società del gruppo GDF Suez, e che queste stesse società entrano a partecipare altre società.
Da parte sua Publiacqua spa partecipa alle società “Le Soluzioni scrl.”, “Consorzio Ener.gi.co.”, “Water Right Foundation”, “Utilitas”, “Ingegnerie Toscane”, “Ti Forma scrl”.
L’abnormità della situazione è proprio questa: ma perché si devono utilizzare i soldi pubblici (visto che entrano ovviamente dalle bollette dell’acqua pagate dai cittadini) per acquistare altre società, e non si abbassa invece il costo dell’acqua, tanto più che è il più caro d’Italia?
Ma è ovvio, perché in questo modo si moltiplicano in modo esponenziale poltrone, seggiole e seggiolini con il meccanismo che prima abbiamo illustrato.
Sempre utilizzando, solo come esempio, ma gli esempi potrebbero essere innumerevoli, Publiacqua e le società collegate, basta guardare chi figura nell’elenco dei consiglieri di alcune di queste società per sincerarsi che quel che qui si dice è pura verità.
Un’altra anomalia di queste società è che anziché avere una struttura piramidale (pochi ai vertici, molti alla base, poche figure dirigenziali molto pagate, e molte figure operative), hanno una struttura rovescia (molti ai vertici, pochi alla base, molte figure dirigenziali molto pagate, e poche figure operative), quasi novello esercito de “I ragazzi della via Pal”, il famoso romanzo nel quale i ragazzini, nel gioco della guerra che facevano fra loro, erano tutti generali e colonnelli, meno il più piccolo che era l’unico soldato semplice.
In questo modo non solo si moltiplicano le qualifiche dirigenziali, aumentando a dismisura i costi e, ancora una volta, trovando ricovero a politici a fine corsa, assessori che nessuno voleva più ed altri soggetti del genere, ma si è costretti, data la scarsità di personale operativo, ad appaltare ad altre ditte i lavori, con procedure che prendono il peggio sia dal pubblico che dal privato ed in questo modo confermando che le società pubblico – private che gestiscono servizi pubblici non sono altro che gusci pressoché vuoti.
Infine, quando il servizio dell’acquedotto era gestito dagli enti pubblici, gli enti non potevano far costare l’acqua più di quello che era il costo reale del servizio, in pratica non potevano avere un “guadagno” (tecnicamente un avanzo di amministrazione); oggi invece vendere l’acqua, bene pubblico, è diventato un business come un altro e i soldi che vengono da questo business possono dunque essere reimpiegati per le partecipazioni in altre aziende, potenzialmente capaci, come si è detto sopra, di diventare vere e proprie “fabbriche di seggiole”.
Ed eccoci al punto.
Si è compreso che le società pubblico-private che gestiscono servizi pubblici sono strutturate in modo tale da aumentare a dismisura i posti di vertice, magari con il giochetto delle partecipazioni, a volte incrociate; questi posti di vertice sono pagati inoltre in modo così spropositato da costituire un’offesa alla decenza.
Sempre per portare un esempio, ma anche qui gli esempi potrebbero essere innumerevoli, si pensi che (fonte “QN” del 20 novembre 2013, che cita una interrogazione di alcuni consiglieri regionali) il presidente della società ADF (Aeroporto di Firenze S.p.a.) che ovviamente non ha compiti operativi, e dunque un impegno tutto sommato limitato anche se importante, percepisce ben 97.000 euro all’anno, mentre l’amministratore delegato di ADF percepisce addirittura 313.977 euro all’anno.
Non solo quest’ultima somma è quasi la metà dell’importo speso per stipendi da parte dell’intera società, e quindi l’amministratore delegato costa da solo quanto tutto il resto dei dipendenti della società che gestisce l’aeroporto fiorentino (fra l’altro un piccolo aeroporto), ma se si tolgono dal calendario i giorni che non sono lavorativi, si tratta di uno stipendio di quasi 1.000 euro al giorno!
Siamo arrivati dunque a comprendere che le società pubblico-private che gestiscono i servizi pubblici non solo li erogano a costi molto maggiori di quel che facevano in passato gli enti pubblici, ma hanno moltiplicato a dismisura i posti di vertice con stipendi da favola, magari con il trucco delle partecipazioni in altre aziende.
Contemporaneamente vi hanno allocato soggetti che sono lì non per la loro competenza tecnica, ma perché vicini a questa o quella consorteria politica, o perché hanno svolto attività politica in passato, con il corollario, moralmente riprovevole, che chi ha avuto un incarico politico di qualsiasi tipo in passato, non dovrà più lavorare in futuro, come fanno invece i normali cittadini.
Non si tratta allora forse di una forma di vero e proprio finanziamento dei partiti, ottenuto drenando risorse agli ignari cittadini (quelli che, sempre per portare un esempio su Firenze, pagano ormai l’acqua più del Brunello di Montalcino, o che grazie alle bollette del gas che pagano di fatto si trovano a pagare le sponsorizzazioni di spettacoli o squadre di calcio, rugby e hockey) e convogliandole su soggetti singoli o associati che, al momento delle elezioni, sapranno certo essere riconoscenti a chi ha donato loro una poltrona, una seggiola o un seggiolino?
Che dire? Al peggio non v’è mai fine …