– servizio a cura di Giuseppe Ponterio –
La decisione del presidente turco Erdogan di ritirare, con apposito decreto, il proprio Paese dalla Convenzione di Istanbul “Contro la violenza sulle donne” si affaccia su uno scenario, purtroppo consueto, dove l’indignazione si alterna all’indifferenza.
Il trattato, siglato nel 2011 e di cui la Turchia fu la prima firmataria, si basa su quattro pilastri: la prevenzione, la protezione, l’azione giudiziaria e il coordinamento delle politiche… Misure volte ad arginare la violenza di genere che, ancora nel 2021, è così drammaticamente diffusa. La scelta di Erdogan è stata, da una parte, salutata con entusiasmo dalla parte più tradizionalista e conservatrice della popolazione, secondo cui la Convenzione minava l’unità della famiglia e incoraggiava il divorzio e, dall’altra, giustificata dal ministro della Famiglia, del lavoro e dei servizi sociali Zumrut Selcuk che ha sostenuto come i diritti delle donne siano garantiti dalla legislazione nazionale, in particolare dalla Costituzione. Eppure, conosciamo tutti molto bene la differenza che esiste tra uguaglianza formale e sostanziale! La violenza domestica e il femminicidio sono una vera piaga sociale in Turchia, tanto che secondo il gruppo per i diritti “We will stop Feminicide Platform” solo l’anno scorso sono state uccise 300 donne. Alla luce di ciò, la decisione del presidente Erdogan evidenzia pericolosamente la sua indifferenza…
E’ un dato di fatto che nel mondo i concetti di donna e democrazia decisamente non si affermano nella loro imprescindibilità : se allarghiamo lo sguardo non possiamo fare a meno di soffermarci su quanto, ad esempio, sta accadendo in Myanmar.
Nel paese asiatico, il 1 febbraio 2021, si sarebbe dovuto riunire per la prima volta il nuovo Parlamento dopo le elezioni dello scorso novembre, vinte trionfalmente dalla Lega Nazionale per la Democrazia di Aung San Suu Kyi. Eppure quello stesso giorno i militari, adducendo come fraudolento l’esito elettorale, hanno dato avvio ad un colpo di Stato. Da allora si contano centinaia di vittime, molti i bambini: colpi alla testa, vere e proprie esecuzioni!
Dove si trovi attualmente Aung San Suu Kyi, rimane un mistero. Ciò che, invece, emerge da decenni è la forza di questa donna che, malgrado tutto, continua a credere e a lottare per un Myanmar libero e democratico!
Io non vedo, al momento, vittoria di questa lotta della donna, non per la parità, ma per l’affermazione della propria dignità, della propria libertà di scelta, per la condivisione del “potere” quando questo è “servizio”!
In Polonia il 27 gennaio è entrata in vigore la legge che vieta l’interruzione volontaria di gravidanza permessa solo in caso di grave malformazione del feto o quando la vita della madre risulta essere in pericolo. Insieme a Malta, l’ex Paese degli Jagelloni risulta avere la legislazione, in materia di interruzione di gravidanza, più restrittiva d’Europa.
Le diseguaglianze di genere sono le più antiche e le più diffuse, rimangono tra le più odiose e pervasive in tutti i Paesi del mondo.
Se non riusciamo a capire che i diritti delle donne sono la chiave di un rinnovamento profondo delle forme di governo e di gestione del potere, non andiamo da nessuna parte: la democrazia non potrà mai dirsi compiuta fino a che le donne non saranno partecipi di diritto alla presa di decisioni, nella famiglia come nella comunità!