di Claudio Molinelli – Sembra incredibile eppure è già passato un anno da quando Pino Daniele ci ha lasciato; il 19 marzo avrebbe compiuto 60 anni, ma non ce l’ha fatta, il suo cuore malato da tempo non ha retto più.
Le moltissime iniziative che anche in questi giorni lo ricordano testimoniano il segno profondo che quest’artista ha lasciato nel cuore di tanta gente che lo ha apprezzato e amato. Per me Pino non è stato un cantante qualunque, fin dal primo album del 1977 l’ho seguito, entrando subito in sintonia con la sua musica, i suoi sentimenti; da sempre affascinato dalla città partenopea, mio nonno materno era napoletano, ho trovato nelle canzoni e nei testi di Daniele la chiave per comprendere meglio e apprezzare una città come Napoli, unica nel bene e nel male, un mondo a sè. Le sue canzoni hanno accompagnato tutta la mia vita, dandomi gioia nei momenti felici e prezioso sostegno in quelli difficili, ecco perché la sua morte, inattesa e traumatica, mi ha colpito e rattristato. Dopo, pensandoci meglio, mi sono accorto come in effetti la sua carriera sia stata lunga, quasi 40 anni, e ricca di produzioni, dischi , concerti, un’attività instancabile e senza risparmio; come tutti gli artisti egli ci lascia un patrimonio permanente che vivrà di vita propria, tutte le volte che sarà riascoltato.
Pino Daniele ha profondamente rinnovato la canzone napoletana, innervandola di componenti soul e blues, contaminandola a più riprese, inventando tra l’altro una lingua anglo-napoletana, ma alla fine è impossibile, secondo me, non considerarlo a pieno titolo nel solco della grande tradizione melodica partenopea.
“Napule è”, apparso nel primo album, “Terra mia” del 1977, è il suo capolavoro, brano struggente e d’inarrivabile bellezza, indimenticabile ritratto della città: “ Napule è mille culure, Napule è mille paure, Napule è a voce de’ criature che saglie chianu chianu, e tu sai ca’ nun si sulo” “(Napoli è mille colori, Napoli è mille paure, Napoli è la voce dei bambini che sale piano piano, e tu sai che non sei solo”). Oggi accompagna l’ingresso in campo, nello stadio San Paolo, del Napoli calcio, e questo dice tutto sull’identificazione della città col brano.
La vena di ribellismo e d’anarchia di molte sue canzoni, per esempio “Je so’pazzo” ha un rovescio della medaglia in molti altri brani, segnati da un ‘esistenziale , consapevole amarezza: “ Chi tene ‘o mare, ‘o ssaje nun tene niente… ( Chi ha il mare, lo sai, non ha niente”), da “Chi tene ‘o mare”, 1979.
Il tratto più felice delle sue canzoni è la piena rispondenza tra la dolcezza della musica e la semplice poesia dei testi: “ E aspiette che chiove, l’acqua te ‘nfonne e va, tanto l’aria s’adda cagnà” (E aspetta che piove, l’acqua ti bagna e va, tanto l’aria deve cambiare”) da “Quanno chiove”, 1980.
Per i film dell’amico Massimo Troisi, a lui accomunato da un singolare destino, Daniele ha composto alcune tra le sue più belle canzoni, “Tu dimmi quando”, “Qualcosa arriverà”, melodie prodigiose, autentici balsami per l’anima.
Quanto ci ha dato quest’uomo schivo e un po’ burbero, che passava ore e ore a esercitarsi con la chitarra, anche da artista famoso, in nome di un amore per la musica che lo ha sempre coinvolto, da quando ragazzino suonava ai matrimoni!
Lui, così profondamente napoletano, era diventato famoso in tutto il mondo e con una consolidata caratura internazionale, a dimostrazione che gli artisti veri hanno una cifra universale capace di parlare a tutti.
Qui termina il mio ricordo di quest’artista che ho così amato e che sempre rimarrà nel mio cuore, e in quello di tanta gente, come una persona conosciuta da sempre.
“Je sto vicino a te, cu ciento strilla attuorno,
je sto vicino a te, fin’a che nun duorme”.
Ciao, Pino.