– a cura della redazione di OrientePress – foto di Edoardo Abruzzese –
Il tema è stato al centro della tavola rotonda ospitata recentemente nella sede della presidenza della Regione Toscana, dove sono stati illustrati i primi risultati del progetto “Gihas Building capacity”, coordinato dall’Università di Firenze e finanziato dall’ Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo, con il supporto di Fao e Regione.
Ci sono i vigneti piantati sulle lave vulcaniche alle Canarie e la coltivazioni di rose ‘super profumate’ in Iran, gli orti galleggianti sul lago Inle in Myanmar dove si coltivano ortaggi su isole lievi di fango ed erba tenute ferme con i bambù, i terrazzamenti in pietra sugli altipiani in Etiopia, la silvo- pastorizia della parte centrale di El Salvador, le oasi montane della Tunisia. E poi ancora, ma l’elenco potrebbe ulteriormente continuare, le coltivazioni tradizionali di caffè e cacao a Cuba, che si sviluppano all’ombra della foresta, le risaie a terrazzo della Cina o i terrazzamenti di vigneti a Lamole in Chianti.
Che cosa li accomuna? Sono tutti esempi dell’ingegno dell’uomo ad adattarsi ad ambienti e climi diversi. Esempi e modelli da studiare e salvaguardare. Oasi da proteggere dove continuare a produrre e creare magari un indotto turistico. E’ l’esempio di come l’agricoltura, una agricoltura sostenibile, può contribuire a salvare il pianeta.
Si è parlato di agricoltura, ma anche di paesaggio e sostenibilità. “Salvare il paesaggio non vuol dire neppure cristallizzarlo – ricorda Ferrini della scuola agraria dell’Università di Firenze – L’agricoltura moderna è fatta anche di tecnologia”. Pure la tradizione in fondo, quando è nata, era innovazione. Il sapere tradizionale è un sapere olistico, dinamico anche.
Sostenibilità vuol dire chiaramente anche strategie carbon-neutral, per la riduzione della produzione di Co2. E’ il vicedirettore della Fao, Renè Castro-Salazar, a soffermarsi sul tema. “L’equazione da rispettare per centrare gli obiettivi che la comunità internazionale si è data per evitare il collasso è semplice: prendi le emissioni globali in atmosfera, sottrai le riduzione che si riuscirà ad operare, sottrai le compensazioni e il risultato deve essere zero.
In qualche Paese si potranno piantare nuovi alberi, in altri, diversi per conformazione fisica, si potrebbe ridurre l’uso delle biomasse. Per ogni chilo di caffè si producono cinque chili di anidride carbonica. Ma già ci sono nel mondo esempi di caffè ad emissioni zero – spiega ancora Castro-Salazar – , così come si producono carne di manzo ad emissione zero in Brasile o tessuti ad emissioni zero. Il passaggio ulteriore è servire, ugualmente ad emissioni zero, quel caffè o quella bistecca o impegnarci a utilizzare quei tessuti, facendo abiti belli. Farli insomma diventare una filiera economicamente sostenibile: costruire una rete. Altrimenti, se falliamo, l’umanità non avrà futuro. Con un aumento della temperatura di quattro gradi sarà il collasso e non solo i un problema economico e sociale, che già oggi con un grado di surriscaldamento ci troviamo ad affrontare”.
Detto tutto questo, adesso??? Ciascuno dovrebbe fare la sua parte!