di Claudio Molinelli – Sono un appassionato di calcio e tifoso della Fiorentina, e mi dispiaceva non essere andato allo stadio Olimpico di Roma a vedere la finale di Coppa Italia tra la mia squadra e il Napoli, immaginando, un po’ ingenuamente, lo spettacolo di folla e di tifo che avrebbe fatto da cornice alla partita.
Mi accingevo comunque a gustarmi lo spettacolo in televisione, in compagnia di amici.
Le cose, come purtroppo sappiamo, sono andate in tutt’altra maniera e quella che poteva e avrebbe dovuto essere una festa si è trasformata in una serata amara e drammatica avvolta da un clima surreale. Un giovane trentenne di Napoli, Ciro Esposito, è all’ospedale in gravi condizioni, ferito da colpi d’arma da fuoco all’esterno dello stadio tre ore prima dell’inizio della partita.
A distanza di giorni la ricostruzione dell’accaduto continua a non essere chiara: gli inquirenti ritengono che un noto ex ultra della Roma, Daniele De Santis detto “Gastone”, gestore di un chiosco nella zona, venuto a diverbio con un gruppo di napoletani abbia estratto una pistola e sparato, ferendo tre persone, tra cui Esposito. Ma appare improbabile che De Santis abbia agito da solo, infatti testimoni di parte napoletana parlano di un agguato compiuto da un gruppetto di persone sbucate all’improvviso. Nella logica “bellica” delle tifoserie estreme l’ipotesi è purtroppo verosimile, tanto più che è nota la rivalità degli ultimi anni tra frange estreme delle tifoserie del Napoli e della Roma. Peraltro De Santis è personaggio ricorrente nelle cronache nere legate al calcio e, tra l’altro, è colui che scese in campo a parlare col capitano della Roma Francesco Totti, prima di una partita Roma-Lazio, nel marzo 2004, che non si disputò perché s’era diffusa la notizia falsa dell’uccisione di un ragazzo da parte della polizia; nell’occasione ci furono gravi disordini e devastazioni nella zona dello stadio.
Il drammatico fatto ha avuto ripercussioni sullo svolgimento della partita, che è cominciata con 45 minuti di ritardo, una lunga attesa carica di tensione e preoccupazioni per l’ordine pubblico. In questo clima è avvenuto l’ormai tristemente famoso dialogo tra il capitano del Napoli Hamsik e il capo tifoso del Napoli Gennaro de Tommaso, detto Genny a’Carogna, sceso in campo a nome della curva napoletana a chiedere rassicurazioni sul ferito senza le quali minacciava di non far giocare la partita, come i numerosi razzi che piovevano in campo dimostravano. Si parla anche di un successivo incontro, avvenuto in tribuna alla presenza della Digos tra De Tommaso e un capo tifoseria fiorentino prelevato dall’altra curva, per assicurare un’astensione dal tifo da ambo le parti durante la partita in segno di rispetto per il ferito. Com’è noto De Tommaso indossava una maglietta che invocava libertà per Speziale, il “tifoso” colpevole della morte dell’ispettore di polizia Raciti negli scontri prima di Catania-Palermo di sette anni fa. La foto dell’imbarazzante personaggio ha fatto il giro del mondo e ha procurato all’Italia una grande e meritata dose di vergogna.
Ci si deve chiedere però come si è giunti fino a questo punto, in cui una persona tale è vista come interlocutore obbligato per garantire il regolare svolgimento di una partita di calcio e scongiurare incidenti anche peggiori nel dopopartita. Il Daspo, divieto d’accesso a manifestazioni sportive, inflitto ieri a De Tommaso per 5 anni, deve essere solo il punto di partenza e non il solito provvedimento esemplare preso a caldo. Qualcuno dovrebbe anche spiegare come poteva De Santis, coi suoi precedenti, girare armato.
Il calcio, gioco bellissimo che appassiona milioni di persone, da troppi anni è finito in Italia alla mercè di gente violenta e incurante di ogni regola, a cui nulla importa dei valori sportivi e della convivenza sociale.
E deve esser chiaro che se è auspicabile un inasprimento delle pene e delle misure preventive delle forze dell’ordine, non ci può essere una svolta positiva se non si combatterà l’assurda sottocultura dell’offesa all’avversario, del dileggio a sfondo razzista, dei comportamenti violenti dei genitori che assistono alle partite dei ragazzi, del rapporto malato tra frange del tifo isteriche e società calcistiche deboli e impaurite, e se anche i mass media, spesso pronti a esagerare fino al parossismo gli eventi sportivi, non si daranno una salutare regolata.
Dai politici vorremmo avere meno chiacchiere a vuoto e più fatti concreti. E gradiremmo anche avere dirigenti sportivi diversi, meno attaccati al potere e ai soldi, meno portati all’eterno scaricabarile, più dotati di valori sportivi e del coraggio delle idee.
Solo così potremo ancora amare questo sport, questo gioco, senza sentirsi traditi.