di Sergio Bedessi – Ieri, 3 maggio, la partita della finale di Coppa Italia fra Napoli e Fiorentina, giocatasi a Roma, è stata funestata da incidenti gravissimi, che hanno portato al ferimento di tre persone per colpi di pistola ed un quarto con una gamba rotta, che sarebbe accusato fra l’altro di aver fatto fuoco, oltre ad una serie di violenti tafferugli.

Il fatto è avvenuto nei pressi dello Stadio Olimpico ed i feriti sono tre tifosi napoletani, uno dei quali in fin di vita.

Al di là che la dinamica di quanto è accaduto ancora non è ben chiara agli inquirenti, che hanno dapprima escluso il collegamento di quanto accaduto con la partita, ma poi sono stati costretti dall’evidenza dei fatti a concludere che si trattava di scontri fra ultrà di campi avversi, che hanno utilizzato la città come un campo di battaglia, ci si dovrebbe interrogare più che sui fatti esterni, peraltro gravissimi, su quanto di vergognoso è avvenuto poi all’interno dello stadio.

Si, vergognoso, anzi vergognosissimo, perché alla presenza dei funzionari di polizia preposti (che ovviamente rappresentano lo Stato) e alla presenza del Presidente del Consiglio dei Ministri Matteo Renzi e del Presidente del Senato Pietro Grasso (che dovrebbero sempre rappresentare quello stesso Stato), l’assenso affinché la partita potesse iniziare non è stato dato da qualcuno che questo Stato rappresenta, bensì da chi, in qualche modo, rappresenta la violenza: un capo tifoso del Napoli, che bellamente seduto sopra una grata della curva nord, dopo aver parlato con il capitano del Napoli scendendo sul campo di gioco, dominus completo della situazione, bontà sua ha acconsentito a che la partita iniziasse.

Come a dire: qui non comanda lo Stato (rappresentato, con loro presenti fisicamente, dal Presidente del Consiglio dei Ministri, dal Presidente del Senato della Repubblica e da tutti i funzionari pubblici e di polizia presenti), qui comandiamo noi tifosi e violenti.

Probabilmente in qualche paese africano, dove la democrazia magari è ritenuta inferiore alla nostra, ma dove lo Stato ha conservato la dignità della propria funzione,  non si sarebbe mai acconsentito ad una scena a dir poco raccapricciante: lo Stato che si inginocchia di fronte alla volontà di gruppi di violenti organizzati il cui unico scopo è quello di menar le mani, e lascia che chi li comanda decida per la collettività.

Ecco: questa è l’Italia.

Ed ha ragione la signora Marisa Grasso, vedova dell’Ispettore Capo Filippo Raciti, morto il 2 febbraio del 2007 nello stadio di Catania, nel dire come ha dichiarato all’ANSA, che “È una vergogna”.

Ogni volta che queste cose accadono viene offesa la memoria di chi, come Filippo Raciti, è morto proprio per mano di quei violenti ai quali ieri si è consentito, alla presenza delle massime autorità dello Stato, di avere in mano la situazione, dimostrando non solo una debolezza indegna nei riguardi di un fenomeno che in qualsiasi altra nazione del mondo sarebbe stato da tempo debellato, ma utilizzando un’indulgenza indegna per una nazione civile e che servirà solamente a peggiorare la situazione nel prossimo futuro.

Il paradosso è che l’ultrà che “comandava” in qualche modo la partita indossava una maglietta con la scritta “Speziale libero”, e che quindi inneggiava ad una delle persone condannate per l’omicidio dell’Ispettore Raciti.

Perché il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Presidente del Senato non si sono alzati e se ne sono andati?

Perché?

Se non si sono sentiti in dovere, loro che rappresentano l’Italia, di andare personalmente da quel tizio e strappargli di dosso la maglietta che inneggiava a chi ha ucciso l’Ispettore di Polizia Filippo Raciti, almeno avrebbero dovuto avere il buon gusto di allontanarsi, defilandosi, da un luogo che è sicuramente la tomba della dignità dello Stato italiano.