Ecco i lettori di OrientePress al secondo appuntamento con la cultura giapponese!
di Kiyoko Hirai – Nel VI secolo d.C, in India, lo Zen era noto con il nome sanscrito “Dhyana”. Se si traduce questa parola in giapponese essa può significare “meditazione” mentre secondo il libro “The book of tea” di Tenshin Okakura è tradotto come “pensiero profondo in silenzio”.
La dottrina Zen insegna che chi si offre agli altri con empatia e senza volere nulla in cambio, può salvare la propria anima. L’atteggiamento altruistico ci porta al punto di uscire dall’ego conquistando la vera sapienza.
Budda sottolinea l’importanza del “Dhyana”, dato che lui stesso, secondo i buddisti, ha ricevuto la sapienza tramite questo esercizio spirituale. Secondo Okakura, Kashou ha fondato la scuola dello Zen per trasmettere e divulgare l’insegnamento dal suo Maestro Budda.
La dottrina Zen fu tramandata dai primi maestri Kashou e Ananda e per 28 generazioni fino a Bodai Daruma, un prete del sud dell’India che recandosi in Cina fonda la scuola dello Zen cinese nella prima metà del VI secolo. Lo Zen cinese si è sviluppato dal 618 al 1279, ma durante la dinastia Ming (1368-1644) inizia il suo declino. L’insegnamento dello Zen si diffonde in Giappone nel periodo Kamakura (1185-1333) e si sviluppa sotto la protezione del Governo Muromachi (1336-1573).
Lo Zen giapponese si diffonde nel resto del mondo dal periodo Meiji (1868-1912).
Nel buddismo antico l’offerta era intesa non solo come aiuto materiale in denaro od oggetti, ma poteva anche essere anche un aiuto non materiale: un atto gentile come una parola atta a curare il cuore della gente o ad aiutare il prossimo attraverso la propria esperienza professionale.
Lo Jyugyuzu consiste in una serie di dieci immagini di “bue” che rappresenta simbolicamente il percorso spirituale dell’uomo verso la sapienza. Fu concepito in origine come un modo semplice di insegnare lo Zen a chi non aveva ricevuto un’educazione in tal senso. Tale soggetto è stato interpretato da vari artisti e preti sia in Cina che in Giappone, tra questi dipinti il più famoso è quello di Kakuan, un prete Zen cinese.
Quella che segue è una spiegazione riassuntiva di ogni immagine del ciclo dello Jyugyuzu di cui sono protagonisti un giovane ragazzo ed un bue, simbolo della sapienza e della parte spirituale ed elevata di ogni anima.
1. Nella prima immagine il giovane cerca senza esito il bue.
2. Continuando il suo sforzo nella ricerca del bue, il giovane riesce a trovare l’impronta delle sue zampe nel terreno, immagine che simboleggia gli antichi testi sacri.
3. Successivamente il ragazzo raggiunge il bue, ma riesce soltanto a sfiorarlo.
4. Nella quarta immagine il ragazzo riesce ad afferrare l’animale con tutte le sue forze. La scena simboleggia che la persona è riuscita a comprendere il concetto della vera sapienza, ma ancora non sa come utilizzarla.
5. L’atto di addomesticare il bue, dunque, rappresenta l’allenamento spirituale per acquisire la sapienza.
6. Il ragazzo torna a casa sulla groppa del bue. Questa scena simboleggia il suo ritorno al mondo quotidiano attraverso la sapienza.
7. Nella settima immagine il protagonista se ne sta in casa con tranquillità ed il bue non è più visibile al suo fianco. La sapienza non è sparita ma è all’interno del ragazzo.
8. In questa immagine c’è soltanto un cerchio bianco a simboleggiare un equilibrio perfetto dello stato d’animo. Il giovane ha superato ogni angoscia ed è tornato alla purezza naturale della nascita, liberandosi da ogni orgoglio.
9. Nella nona scena c’è un bel paesaggio primordiale a cui la sapienza appartiene.
10. Il ritorno alla città: l’adolescente si trasforma in adulto e assume una forma divina portatrice di felicità. È circondato da bambini che rappresentano l’anima immatura che ha ancora bisogno di una guida spirituale
Secondo una corrente di pensiero buddista giapponese, per avere una grande ricchezza spirituale è necessario avere un dialogo con il proprio sé. Ognuno di noi ha una parte materiale visibile ed una sipirituale invisibile. Al momento della propria nascita terrena lascia una parte di sè nel cosmo, alla quale si ricongiungerà al termine della propria vita materiale. Lo studioso di fisica Hideo Itokawa spiega che all’inizio della vita ognuno nasce dal vuoto dello spazio cosmico sotto forma di particella che grazie a uno stimolo fisico si trasforma in vita.
Per spiegare il concetto dello Zen, i buddisti tendono a evitare di definirlo attraverso parole, perché non si può esprimere tramite un ragionamento logico. Nello Zen non è importante la conoscenza teorica ma è la capacità intuitiva a essere considerata. Per arrivare alla sapienza, ognuno di noi deve cercare in se stesso la divinità potenziale chiamata Bussho. La maggior parte delle scuola buddiste, al contrario, dà prevalenza allo studio delle letture o dei libri sacri.
Secondo l’insegnamento dello Zen, sia le parole che il pensiero logico spesso chiamano il pregiudizio o l’interpretazione personale e soggettiva e per questo possono farci allontanare dalla sapienza vera; solo a chi è arrivato a questa tramite l’allenamento spirituale sarà tutto chiaro.
Dunque, senza affrontarla realmente, non la si può capire!