di Claudio Molinelli – E’ andato in scena sabato 9 febbraio 2013 uno degli appuntamenti più attesi della stagione del Teatro Comunale dell’Antella, la lettura di “Uno, nessuno e centomila” di Luigi Lo Cascio, l’attore siciliano affermatosi per le ottime prove cinematografiche in “I cento passi”, “La meglio gioventù”, “Noi credevamo”. E, ancora una volta in questa stagione, la risposta del pubblico è stata entusiasta con la sala piena e i biglietti esauriti da un mese.
A Luigi Lo Cascio abbiamo chiesto perché ha scelto nel vasto repertorio di Pirandello proprio questo romanzo e i motivi per cui ha optato per una lettura scenica. “Ho scelto questo romanzo – ci ha detto Lo Cascio – perché Pirandello ci ha messo sedici anni a scriverlo, e lui stesso ha affermato che era la sintesi di tutto ciò che aveva scritto e la sorgente delle opere successive. Quanto alla scelta della lettura, penso che essa permetta di dedicarsi pienamente al testo e consenta di recepire tutto il peso della scrittura pirandelliana. La lettura consente di abbandonarsi totalmente allo scrittore e permette allo spettatore, privato degli artifici della messinscena, di aderire completamente al mondo evocato dalle parole dell’autore. Il romanzo è stato un esperimento per Pirandello, e la sua lettura è un esperimento per gli spettatori e per l’attore un modo particolare d’interloquire col pubblico”.
Su una scena essenziale, che comprende solo un leggio e un tavolo con una sedia, si svolge il lungo monologo di Vitangelo Moscarda che ripercorre la singolare vicenda che lo ha condotto a trascorrere i suoi giorni in solitudine in un ospizio. Tutto ha origine da una banale osservazione della moglie che un giorno gli fa notare come il suo naso penda a destra. Questo turba l’uomo e lo fa entrare in una crisi d’identità profonda e inaspettata; egli si rende conto che gli altri lo vedono diverso da come crede di essere. Da allora cerca di scomporre e distruggere tutti i Moscarda che esistono, uno per ciascuna delle persone che lo conoscono. L’uomo entra in un meandro di riflessioni su se stesso e la natura del suo essere al mondo, ponendosi il problema della “forma” in cui consistere che mal si adatta alla mutevolezza della natura umana. Avvertendo chiaramente il limite della “marionetta Gengè” che appare agli altri, intraprende una rischiosa ricerca della sua vera identità che approda alla dolorosa consapevolezza che “conoscersi è morire”. Si decide allora a compiere atti contrari alle aspettative altrui; erede di una banca e ritenuto un usuraio, fa donazioni e liquida la banca stessa, col risultato di farsi abbandonare dalla moglie e passare per matto. Moscarda, isolato da tutti, finisce così nell’ospizio che ha costruito coi propri averi.
Lo spettacolo è rigoroso e coraggioso poichè richiede allo spettatore un’attenzione costante. Luigi Lo Cascio si misura con una creatura letteraria che incarna tutto il furore dialettico e argomentativo del suo autore. L’attore riesce a rendere la profondità, il fascino e la lucidità che sconfina nella follia del personaggio pirandelliano. Variando il ritmo della narrazione, tra accelerazioni e rallentamenti, e il tono di voce, che ora declama ora sussurra, Lo Cascio infonde a Moscarda tutta l’amarezza a cui conduce il suo scavo interiore.