– di Papa Francesco – foto di Edoardo Abruzzese –
“Il Mediterraneo all’inizio del terzo millennio. Non è possibile leggere realisticamente tale spazio se non in dialogo e come un ponte ― storico, geografico, umano ― tra l’Europa, l’Africa e l’Asia. Si tratta di uno spazio in cui l’assenza di pace ha prodotto molteplici squilibri regionali, mondiali, e la cui pacificazione, attraverso la pratica del dialogo, potrebbe invece contribuire grandemente ad avviare processi di riconciliazione e di pace. Giorgio La Pira ci direbbe che si tratta, per la teologia, di contribuire a costruire su tutto il bacino mediterraneo una “grande tenda di pace”, dove possano convivere nel rispetto reciproco i diversi figli del comune padre Abramo. Non dimenticare il padre comune.
Una teologia dell’accoglienza è una teologia dell’ascolto
Il dialogo come ermeneutica teologica presuppone e comporta l’ascolto consapevole. Ciò significa anche ascoltare la storia e il vissuto dei popoli che si affacciano sullo spazio mediterraneo per poterne decifrare le vicende che collegano il passato all’oggi e per poterne cogliere le ferite insieme con le potenzialità. Si tratta in particolare di cogliere il modo in cui le comunità cristiane e singole esistenze profetiche hanno saputo ― anche recentemente ― incarnare la fede cristiana in contesti talora di conflitto, di minoranza e di convivenza plurale con altre tradizioni religiose.
Tale ascolto dev’essere profondamente interno alle culture e ai popoli anche per un altro motivo. Il Mediterraneo è proprio il mare del meticciato – se noi non capiamo il meticciato, non capiremo mai il Mediterraneo – un mare geograficamente chiuso rispetto agli oceani, ma culturalmente sempre aperto all’incontro, al dialogo e alla reciproca inculturazione. Nondimeno vi è bisogno di narrazioni rinnovate e condivise che – a partire dall’ascolto delle radici e del presente – parlino al cuore delle persone, narrazioni in cui sia possibile riconoscersi in maniera costruttiva, pacifica e generatrice di speranza.
La realtà multiculturale e pluri-religiosa del nuovo Mediterraneo si forma con tali narrazioni, nel dialogo che nasce dall’ascolto delle persone e dei testi delle grandi religioni monoteiste, e soprattutto nell’ascolto dei giovani. Penso agli studenti delle nostre facoltà di teologia, a quelli delle università “laiche” o di altre ispirazioni religiose. «Quando la Chiesa ― e, possiamo aggiungere, la teologia ― abbandona gli schemi rigidi e si apre ad un ascolto disponibile e attento dei giovani, questa empatia la arricchisce, perché “consente ai giovani di donare alla comunità il proprio apporto, aiutandola a cogliere sensibilità nuove e a porsi domande inedite”» (Esort. ap. postsin. Christus vivit, 65). A cogliere sensibilità nuove: questa è la sfida.
L’approfondimento del kerygma si fa con l’esperienza del dialogo che nasce dall’ascolto e che genera comunione. Gesù stesso ha annunciato il regno di Dio dialogando con ogni tipo e categoria di persone del Giudaismo del suo tempo: con gli scribi, i farisei, i dottori della legge, i pubblicani, i dotti, i semplici, i peccatori. A una donna samaritana Egli rivelò, nell’ascolto e nel dialogo, il dono di Dio e la sua stessa identità: le aprì il mistero della sua comunione con il Padre e della sovrabbondante pienezza che da questa comunione scaturisce. Il suo divino ascolto del cuore umano apre questo cuore ad accogliere a sua volta la pienezza dell’Amore e la gioia della vita. Non si perde niente con il dialogare. Sempre si guadagna. Nel monologo tutti perdiamo, tutti”.
( dall’ intervento del Santo Padre all’incontro del 21 giugno 2019 sul tema «La teologia dopo “Veritatis gaudium” nel contesto del Mediterraneo», promosso dalla Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale di Napoli)