– servizio a cura di Nadia Fondelli – foto di Edoardo Abruzzese –
Candidatura Unesco per l’artigianato italiano. Sì ma quale artigianato?
L’appuntamento della scorsa settimana a margine di Pitti Immagine Uomo si preannunciava interessante. Una tavola rotonda, con la partecipazione della sottosegretaria del Ministero dei Beni Culturali e Turismo Dorina Bianchi, per fare “massa” intorno alla proposta del massmediologo Klaus Davi di candidare l’artigianato italiano a patrimonio immateriale dell’umanità Unesco.
Meno interessante l’annuncio che più di una tavola rotonda si trattava di uno road show. Già, gli inglesismi forzati a noi piacciono poco, ma la seconda perplessità era sulla parola show, ma se consideravamo che il promotore dell’iniziativa è un “televisivo” abituato a microfoni e telecamere volevamo capire se oltre all’idea c’era la sostanza.
Al tavolo oltre alla sottosegretaria sedevano il padrone di casa Pitti Immagine Raffaello Napoleone, Bruno Tommassini, presidente Cna Federmoda Toscana, Fabio Pietrella, presidente Confartigianato Moda e il presidente del Consiglio Regionale della Toscana Eugenio Giani.
Gli interlocutori non ci hanno convinto. Non per il loro spessore sia chiaro; ma che ci azzeccano le associazioni di categoria con l’artigianato? Di contrappasso grandi assenti, ad esempio chi invece poteva essere portatore sano d’idee. Bastava scomodare, dato che eravamo a Firenze, l’Osservatorio dei Mestieri d’Arte ed Artex.
Chiaro quindi che chi ha pensato e organizzato il tutto o ha fatto la furbata di parlare per la prima volta di questa candidatura a Firenze nell’ambito di Pitti per avere visibilità e attenzione da parte di tanta stampa oppure poco ha capito. E l’entusiasmo dell’ingenuo Bruno Tommassini che ha aderito immediatamente alla proposta (pensandola altro) ne è testimonianza.
A niente è servito neanche il profilo storico tracciato da Eugenio Giani che ha ricordato che di artigianato (vero) e di bottega si parlava anche nel Rinascimento a Firenze, e che dalle botteghe artigiane sono usciti i grandi geni dell’arte: Leonardo e Michelangelo tanto per fermarsi solo a due nomi.
L’entusiasmo poi del voler parlare di un tema che non conosce è sfuggito di mano al buon Pietrella che senza giri di parole, da casa Pitti cioè Firenze, ha pure dichiarato che sta lavorando col Ministro Calenda per fare di Milano la capitale della moda italiana alla faccia di quei Ferragamo e Gucci che da Firenze sono partiti alla conquista del mondo. E poi, in un delirio di egocentrismo nel parlare della sua azienda e delle duecento famiglie a cui dà lavoro ha ammesso che con l’artigianato niente ci azzecca. Ma l’inghippo sta anche nella proposta stessa.
Cos’è l’artigianato italiano?
Antropologicamente parlando nel termine ci sta tutto. Anch’io che sto scrivendo sono infatti un artigiano della parola.
Qual è allora l’artigianato italiano?
Non certo rappresentato da aziende, come quelle di Petrella, che sono in Italia imprese medio-grandi e danno un po’ di lavoro a qualche artigiano italiano e a moltissimi orientali.
E’ forse artigianato italiano una produzione nazionale che per l’80% almeno è fatta all’Estero? Oppure quella made in Italy fatta da aziende orientali che alla faccia di leggi e norme producono in un limbo di illegalità in cui tutto è concesso salvo poi stupirsi quando qualche sciagura uccide operai cottimisti per pochi euro?
L’artigianato italiano motore del nostro Paese ha bisogno di altro. Di leggi vere a sostegno della tradizione e della produttività.
Quanto alla candidatura Unesco c’è da dire che la stessa è fuori da ogni logica. Troppo generica e vaga una definizione a cui è impossibile dare anche un seguito se si sceglie come interlocutori i rappresentanti delle imprese e si esclude chi davvero potrebbe parlare in merito; si confondono le capre con i cavoli e ci si affida ai buoni uffizi di un massmediologo che parla un poco di tutto senza conoscerlo a fondo.
Basta leggere nello statuto Unesco come deve essere la candidatura a bene orale e immateriale per capire : “Si pone lo scopo di salvaguardare questi capolavori per evitarne la scomparsa, preservando lo stupefacente insieme di linguaggi, rituali, consuetudini sociali, cognizioni e prassi relative ai saperi legati all’artigianato che nei millenni si sono tramandati di generazione in generazione rappresentando le sfumature e le differenziazioni insite nell’evoluzione dell’Umanità”.
La parola artigianato è generica e sotto ad essa ci stanno, solo per limitarsi ai patrimoni nazionali, l’Opera dei Pupi siciliani, il canto a tenore sardo, la dieta mediterranea, il saper fare lituaio di Cremona, le macchine dei Santi di Sassari, Viterbo, Nola e Palmi, la pratica agricola della vite ad Alberello di Pantelleria e in candidatura il merletto italiano.
Basta questo per capire che siamo assolutamente fuori tema? Ovvero il tema è troppo generico per essere minimamente possibile solo proporlo.
Ma siamo fiduciosi e confidiamo nella sottosegretaria che saprà ben presto con il suo “road show” capire tutto questo e riflettere anche sull’alzata dalla sedia di un produttore romagnolo di scarpe che nella tavola rotonda ha affermato: “scusate ma noi cosa c’entriamo?”