di Claudio Molinelli – La programmazione del Teatro Comunale di Antella ci ha abituato a scelte originali, riscoperte di autori dimenticati, proposte di testi poco rappresentati; in questo solco rientra a pieno titolo lo “Studio sulla follia” portato in scena l’11 e il 12 dicembre. Lo spettacolo è tratto dall’opera “Storia della follia nell’età classica”, un famoso testo del 1963 dello storico e filosofo francese Michel Foucault, tra i padri dello strutturalismo. In questo testo Foucault tratteggia la storia del concetto di follia dal medioevo fino al 1800 e illustra come la società si sia posta nel corso del tempo nei confronti dei folli, prima tollerati poi via via emarginati, infine considerati malati da curare.
Lo spettacolo, una produzione Archetipo, formazione stanziale al teatro di Antella, diretta dal regista Riccardo Massai, è un’evoluzione di un percorso che parte da una prima lettura scenica, svoltasi alle Murate nello scorso ottobre, di una delle quattro scene che attualmente compongono la rappresentazione. La riduzione teatrale di Massai prevede infatti la messinscena di quattro quadri della complessa opera del filosofo francese. Nella prima scena, i furiosi incatenati sono visti come espressione di un’ animalità naturale, la cui follia è stata comunque riscattata da Cristo. Nel secondo quadro un dottore in camice bianco svolge la sua lezione di fronte a un gruppetto di folli: siamo nella cosiddetta età classica, dal medioevo alla rivoluzione francese, e la follia è diventata una minaccia per la ragione trionfante; se ne cercano le cause, anche attraverso sinistre autopsie: le passioni, i dispiaceri, gli amori infelici sono ritenute cause remote che possono portare al delirio e all’abbaglio. Nella terza scena un sedicente cuoco prepara i rimedi naturali d’epoca per alleviare le pene dei furiosi: vipere, sangue, polvere di cranio si mischiano a comporre “miracolosi” infusi. C’è poi l’immancabile bagno purificatore nella vasca ed è il momento più autenticamente teatrale dello spettacolo. Siamo nel 1700 e i folli sono mischiati ai criminali e incarcerati o assimilati ai poveri e ai malati e vengono internati, secondo una concezione classista e utilitarista che tende all’emarginazione dei soggetti non produttivi. Infine l’ultimo quadro, una casa di correzione dell’Ottocento, dove ci si sforza di capire e una nuova scienza, la psichiatria positiva, tenta una nuova cura senza coercizioni, primo passo verso un’accettazione della follia.
Lo spettacolo è tanto difficile quanto coraggioso, e le parole di Riccardo Massai rendono bene l’idea della sfida nel proporre un simile allestimento e delle difficoltà da superare: “ Il testo mi ha affascinato, e dapprima ho proposto una lettura scenica che ha avuto successo, perciò ho pensato di ampliare e sviluppare il progetto. L’intenzione era di rendere accessibile il testo e svolgerlo come eloquio, di riempirlo di contenuti e azioni da mettere in scena, di sostenere cioè una materia densa che rischiava d’annoiare il pubblico”.
L’operazione, di alto livello culturale, può dirsi riuscita: la sofferenza della condizione della follia emerge con incisività così come la precaria identità dei folli, sospesi tra le cure scientifiche e l’umana pietà. Rilevante il contributo degli interpreti tra cui spiccano Marco Toloni, già attore di Ronconi, e Simone Rovida, assai convincente nei panni, veri e propri, del folle sottoposto al bagno.